Sinologa, scrittrice e giornalista. In Asia dal 1988 fra Pechino, Tokyo e Hong Kong. Il suo ultimo libro è Pechino 1989.
Gli investimenti diretti in Cina non stanno calando, anzi
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La Corea del Nord rifiuta le aperture del sud
VERO
“Smetti di sognare invano e chiudi la bocca” ha detto Kim Yo-jong, la potente sorella di Kim Jong-un, al Presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, che aveva proposto un generoso pacchetto di aiuti in cambio del disarmo. Kim Yo-jong ha definito il piano “stupido”. Per quanto il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, continui a diradare le apparizioni in pubblico, facendo aumentare i dubbi sulla sua salute, il Paese ha promesso di ricominciare i test nucleari. La pandemia ha colpito duro in Corea del Nord (che ha accusato Seul di aver mandato il virus oltre frontiera), portando a ulteriori ristrettezze economiche e un temporaneo ritardo nei test nucleari – che sarebbero i primi dal 2017. I test con missili balistici continuano, portando Yoon ad aggiornare i piani di guerra in caso di attacco da parte del nord.
Le aziende straniere si ritirano dalla Cina
FALSO
Aumentano le inquietudini sulle tendenze a una maggiore chiusura, sia politica che per misure sanitarie, della Cina da parte della sua dirigenza, ma questo non significa che gli investimenti esteri nel Paese stiano calando. Anzi: malgrado Pechino continui a imporre sui suoi cittadini restrizioni anti-pandemiche punitive, e le aziende straniere siano più che mai esposte al rapido mutare delle sensibilità politiche cinesi, le aziende europee hanno aumentato del 15% i loro investimenti in Cina nei primi sei mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (con un più 23.5% per la Germania). Nello stesso periodo, dagli Stati Uniti, gli investimenti diretti in Cina sono aumentati del 36.3%, dalla Corea del Sud, del 44.5%, e del 26.9% dal Giappone.
La Cina ha modificato il finale del film “I Minion”
VERO
Non per la prima volta, un film Made in Usa è arrivato in Cina ed è stato distribuito nelle sale solo dopo che le autorità hanno richiesto (e ottenuto) che ne venisse modificato il finale, affinché fosse in sintonia con gli insegnamenti ritenuti necessari nel Paese. Nel caso dell’ultimo film animato con protagonisti i Minion, infatti, il finale è stato modificato in modo tale che nessuno dei malviventi riuscisse a farla franca, e che chiunque si fosse macchiato di crimini più o meno consistenti (si tratta, dopotutto, di un cartone animato scanzonato ma senza pretese di realismo) venisse punito così come prevede la legge cinese.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
Notizie asiatiche: le misure anti-Covid, il ritorno al nucleare, lo stop alle ripetizioni
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Vietnam: l’indurirsi della politica cinese aiuta l’economia nazionale
Mentre Pechino comincia ad ammettere che il perdurare delle strettissime misure anti-pandemiche avrà un impatto negativo sulla sua economia (a cui si devono aggiungere le difficoltà create dalla catastrofica siccità che ha colpito parte del Paese), il Vietnam, che aveva inizialmente seguito strategie sanitarie simili, sta registrando una crescita del Pil del 7.7%, superiore alle aspettative, e frutto in gran parte dall’aumento della produttività nel settore manifatturiero. Non solo: dopo un iniziale tentativo di vaccinare la popolazione solo con vaccini nazionali, il Vietnam ha deciso di adottare politiche anti-Covid diverse da quelle cinesi e più simili a quelle del resto del mondo. Ciò ha significato la ripresa del turismo, tanto interno quanto internazionale (ancora bloccato in Cina per gli arrivi internazionali, e ostacolato a livello interno dal timore di improvvisi lockdown a tempo indeterminato che impediscano di lasciare le località di villeggiatura). Il Vietnam sta emergendo come una delle economie più aperte dell’Asia (con 74.6 punti su 100 secondo una recente graduatoria di Moody’s), superando perfino Hong Kong, Malaysia e Singapore, e dovrebbe diventare la terza maggiore economia della regione, dopo l’Indonesia e la Thailandia, nei prossimi tre anni. Uno dei principali motori della crescita sono i timori suscitati dai cambiamenti in atto in Cina: Apple, per esempio, tramite Foxconn, ha iniziato a testare la produzione di Apple Watch e di MacBook nel nord del Vietnam, lasciando per la prima volta l’hub manifatturiero cinese di Shenzhen per questi prodotti (dopo aver già spostato in Vietnam la produzione di iPad e auricolari AirPods dal 2020). La Samsung sta investendo per spostare parte della sua manifattura vicino a Ho Chi Minh City, così come Google, Dell e Amazon hanno trasferito parte delle loro operazioni nel sud del Vietnam, riducendo la loro presenza in Cina. Non si tratta di abbandonare completamente la Cina, cosa né possibile né desiderabile, ma di diversificare i propri rischi e investimenti – con chiari vantaggi dunque per il Vietnam.
Voto 9: al Vietnam che riesce a valutare e gestire i propri spazi di autonomia.
Hong Kong, la stampa riformata non ha credibilità
La stampa di Hong Kong, da decenni considerata affidabile e fra le più libere dell’Asia, dopo l’introduzione della Legge sulla Sicurezza Nazionale nel 2020 e la spirale repressiva che ne è conseguita, continua a perdere la fiducia dei lettori secondo l’annuale sondaggio dell’Università cinese di Hong Kong. Dal 2020 sono state fatte chiudere diverse testate indipendenti (fra cui l’Apple Daily, principale quotidiano di opposizione, e vari giornali online) e sono stati arrestati numerosi giornalisti. Fra gli organi di stampa che hanno maggiormente perso credibilità presso il pubblico c’è Radio Television Hong Kong, RTHK, il gruppo radio-televisivo pubblico modellato in tempi britannici sulla BBC. Dopo le proteste del 2019 le autorità di Hong Kong hanno deciso che il servizio pubblico deve fare da portavoce governativo, e ha cambiato i vertici di RTHK sostituendoli con funzionari governativi senza esperienza giornalistica, ed eliminato molti programmi storici, fra cui il programma di satira politica Punchline. Sono stati interrotti gli accordi con la BBC, e introdotti quelli con i media statali cinesi. Il sondaggio accorda dieci punti ai media più affidabili e zero a quelli considerati meno affidabili. RTHK è scesa al 5.4 (dai 7 punti che aveva prima della legge). Gli altri giornali e canali televisivi sono risultati, complessivamente, avere un livello di credibilità del 5.05.
Voto 3: a una legge che impoverisce la qualità dell’informazione.
Cina: riaprono le scuole, ma le ripetizioni?
Dopo la decisione delle autorità cinesi di chiudere le scuole private di ripetizione, molto utilizzate fra gli studenti delle elementari, delle medie e del liceo (fra le scuole più competitive al mondo), il nuovo anno scolastico si presenta con alcune incognite. New Oriental, la principale azienda cinese di ripetizioni in presenza, di video per imparare l’inglese e per la storia, quotata alla Borsa di New York (con un valore di 4.3 miliardi di $Usa), era stata nelle mire delle riforme all’educazione volute direttamente dal Presidente Xi Jinping. Le ripetizioni, un’enorme industria nel Paese, erano state definite ingiuste per il peso economico che mettono sulle famiglie, che anche per problemi di costi non hanno risposto agli incoraggiamenti governativi ad avere più figli. Così, l’anno scolastico che viene vedrà genitori e studenti barcamenarsi fra le ripetizioni accessibili in streaming, i libri per il ripasso a casa, le ripetizioni per le lezioni di inglese gratuite (fra le poche ancora permesse) e consulenze per l’ammissione alle Università straniere, mentre altri tipi di sostegno privato agli studenti sono oggi illegali.
Voto 5: va bene l’attenzione per la giustizia sociale, ma eccessiva la limitazione della libertà di impresa. Metodi troppo drastici.
Giappone, il ritorno al nucleare
Dopo undici anni dal disastro di Fukushima, ma dopo un’estate torrida caratterizzata da black-outs, il Giappone ha deciso di cambiare nuovamente rotta, e di riaffidarsi all’energia nucleare. Il Primo Ministro giapponese Fumio Kishida ha annunciato di voler riaprire le centrali nucleari che erano state spente dopo il terremoto e lo tsunami che colpirono il Giappone nel marzo del 2011, e che causarono la fusione di tre reattori all’interno della centrale di Fukushima, ma anche di volerne costruire di nuove. La decisione è stata presa sia nel tentativo di ottenere la carbon neutrality promessa dal Paese per il 2050, sia in considerazione dell’aumento del costo dell’energia, in parte causato dall’invasione russa dell’Ucraina. Kishida ha infatti detto che “il Giappone deve tenere a mente i potenziali scenari di crisi… e garantirsi fonti stabili di energia”. L’annuncio è stato fatto senza fornire date precise per la costruzione dei nuovi reattori – che saranno di ultima generazione, e quindi con maggiori dispositivi di sicurezza – nel timore che l’opinione pubblica giapponese, già scossa dall’omicidio Abe e dall’emergere dei legami con la Chiesa dell’Unificazione e il Partito Liberale, di governo, possa essere contraria alla decisione.
Voto 7 al coraggio di scelte scomode e impopolari ma necessarie per il bene collettivo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
Lockdown Shanghai, invenzioni giapponesi e nuove armi nordcoreane
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Scienziati giapponesi inventano bastoncini insaporenti
VERO
Per aiutare chi deve diminuire il sodio (sotto forma di sale) nella dieta, alcuni scienziati giapponesi hanno inventato bastoncini elettrici, collegati a un dispositivo al polso, che aumenta di una volta e mezzo il sapore del sale nella bocca, tramite una bassa corrente elettrica impercettibile ma capace di potenziare gli ioni salati. L’invenzione è stata portata avanti da Honei Miyashita e dalla Kirin, una delle principali aziende di birra e bevande in Giappone, e sarà commercializzata all’inizio del prossimo anno. Il Giappone ha un alto tasso di incidenza di problemi parzialmente legati all’eccessivo consumo di sale, quali problemi arteriosi e infarti, e questi bastoncini potrebbero ovviare alla necessità di abituarsi a una dieta blanda, con scarsa salsa di soia e senza verdure conservate sotto sale.
La crisi cinese di Covid può spezzare la censura
FALSO
I lockdown estremi imposti a Shanghai e in altre città in cui si sono registrati dei casi di Covid, malgrado la Cina persegua l’obiettivo Zero Covid, non stanno riuscendo a superare la barriera della censura. Diversi utilizzatori di social media sono riusciti ad essere più attivi del solito, e a sovvertire alcune hashtag per esprimere la loro disapprovazione nei confronti della brutalità dei lockdown, i censori stanno al passo, e censurano più in fretta di prima. Un video virale fatto di telefonate intercettate chiamato Le voci di aprile, in cui cittadini di Shanghai esprimevano l’impossibilità di procacciarsi cibo e medicine, diffuso migliaia di volte, è stato alla fine del tutto censurato, e i suoi autori interrogati dalle forze dell’ordine.
Kim Jong-un espande il suo armamentario
VERO
Dopo alcune settimane di incertezza, ecco che la Corea del Nord ha tenuto una parata militare, nel corso della quale ha anche messo in mostra alcune delle nuove armi a disposizione di Kim – comprese alcune, come i missili balistici intercontinentali e l’ultimo Pukguksong 6, missile a combustibile solido (parte di una serie di missili a combustibile solido sviluppati in Corea del Nord di recente), che erano stati nella sua “wish list” lo scorso anno. Inoltre, Kim ha ribadito che il nucleare “non è solo un deterrente”, confermando dunque la sua volontà di utilizzarlo qualora “gli interessi della Corea del Nord dovessero essere minacciati”.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Pillole asiatiche: Cina, Isole Salomone, Hong Kong
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Indonesia: stop alle esportazioni di olio di palma
Il Presidente indonesiano Joko Widodo ha imposto la sospensione all’esportazione di tutti gli oli da cucina, incluso quella dell’olio di palma, in seguito a numerose proteste studentesche contro il caro vita. L’Indonesia è il maggior Paese produttore di olio di palma, da cui dipende il 60% della produzione mondiale. I produttori di olio di palma, però, attratti dall’aumento del prezzo sul mercato internazionale avevano ridotto le vendite domestiche, a cui Widodo ha risposto con la messa al bando delle esportazioni. La chiusura indonesiana (che era solo parziale fino al mese di aprile) sta portando a rincari a catena negli altri Paesi consumatori, anche per tutti gli altri tipi di olio. La Malaysia, secondo produttore mondiale, non può supplire all’improvvisa scomparsa della produzione indonesiana per l’insufficienza di manodopera, esacerbata dall’aver bloccato l’immigrazione dalla stessa Indonesia nel corso della pandemia. L’Indonesia sta affrontando un’inflazione drammatica (con picchi vicino al 3%), e non può ancora contare sugli introiti provenienti dal turismo, per il perdurare delle difficoltà date dalla pandemia. I rincari nei costi del settore alimentare si stanno inasprendo, a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, dei cattivi raccolti nelle Americhe, e della chiusura di alcuni porti cinesi per mitigare i contagi da Covid. Ma la crisi alimentare si intreccia sempre più con le crescenti scosse politiche in Indonesia, legate alle intenzioni di Widodo di rimandare le elezioni presidenziali e restare al potere per un anno supplementare. Il problema richiederebbe una riforma del settore agrario indonesiano, sbloccando il monopolio dei conglomerati dell’alimentare, poco interessati alle problematiche domestiche quando i prezzi internazionali sono in rialzo. L’impatto di un blocco delle esportazioni, però, potrebbe danneggiare l’Indonesia stessa, dato che il consumo domestico non è in grado di smaltire la produzione nazionale – con potenziale disastroso per l’industria indonesiana.
VOTO 5: a misure economiche choc e superficiali invece di studiare riforme e innovazioni del settore agrario.
Cina: Pechino continua a investire nelle ferrovie
La Cina, che già da trent’anni sta portando avanti un programma di riallacciamento ferroviario capillare lungo tutto il Paese, e che ha anche esteso queste connessioni ai Paesi confinanti, con investimenti parte del progetto Belt and Road, è ora impegnata nello sviluppare nuovi treni ad altissima velocità: più di 600 km all’ora. Il nuovo treno, che funziona tramite levitazione magnetica (maglev) potrebbe essere operativo già nei prossimi tre anni, dopo che un prototipo funzionante è stato svelato a Chengdu, da He Chuan, vice-direttore dell’Università dei trasporti del sudest. La Cina ha già un maglev in funzione, che dal 2003 collega l’aeroporto di Shanghai con la città a 431 chilometri all’ora, ma con la nuova tecnologia sviluppata da Chuan, il treno potrebbe sostenere fino a 620 chilometri all’ora. In gennaio, era entrato in utilizzo un treno ad alta velocità capace di sostenere temperature fino a -40 gradi, per collegare Pechino a Harbin. La Cina ha già 37000 chilometri di ferrovie nel Paese, e continua a favorire lo sviluppo dei trasporti di terra ad alta velocità, considerati una priorità rispetto allo sviluppo dei servizi aerei nazionali – una preferenza che presenta la necessità di costruire infrastrutture capillari, ma che è molto meno inquinante, di accesso più ampio per la popolazione, e più sostenibile.
VOTO 8: puntare allo sviluppo del trasporto ferroviario ad alta velocità è un impegno a lunga distanza che denota lungimiranza
Cina: patto di sicurezza con le isole Salomone
L’accordo sulla sicurezza militare fra Pechino e Honiara, isole Salomone, non cessa di creare inquietudini sia negli Usa che in Australia, e Nuova Zelanda, dove l’espandersi dell’influenza cinese nel Pacifico comincia a destare un certo rancore. Non si hanno ancora tutti i dettagli precisi, ma l’accordo prevede che la polizia armata cinese possa essere di stanza alle isole, per “mantenere l’ordine sociale” e le forze cinesi potrebbero essere autorizzate a proteggere interessi cinesi nelle Solomon. Lo scorso novembre, delle violente sommosse anti-cinesi erano scoppiate nella capitale delle Salomone dopo che il Primo Ministro, Manasseh Sogavare, aveva deciso di spostare il riconoscimento diplomatico da Taipei a Pechino – in quello che si pensa essere stato un accordo multimilionario. La scarsa trasparenza, e una diffusa opposizione a questo nuovo riconoscimento, avevano portato alle sommosse, ed ora, alla richiesta cinese di avere una presenza di sicurezza nelle isole. Kurt Campbell, il consigliere Usa alla sicurezza nell’Indo-Pacifico, in visita a Honiara, ha detto che se la Cina dovesse avere basi permanenti nelle Solomon, gli Usa “risponderanno in egual moneta” – senza specificare. L’accordo ha però portato alla riapertura dell’Ambasciata Usa nelle isole.
VOTO 4: attenzione ai rischi di travestire come missione diplomatica un posizionamento militare imposto.
John Lee nuovo capo di Hong Kong
Il prossimo capo dell’esecutivo di Hong Kong sarà John Lee, 64 anni, ex Segretario alla sicurezza, ex poliziotto e principale esecutore della linea dura durante le manifestazioni del 2019. Lee prenderà dunque le funzioni di Carrie Lam il 1° luglio 2022. Quest’ultima, dopo aver portato a termine il suo primo mandato, non si è ripresentata per il secondo mandato per “passare più tempo con la famiglia”. Di nuovo, non si tratterà di una vera elezione, dal momento che solo 1200 persone hanno diritto al voto per la scelta del Capo dell’Esecutivo (incaricato di nominare i segretari e sottosegretari che formano il Governo locale). Con questa scelta, dunque, la Cina mostra di considerare Hong Kong come un territorio ancora instabile, ma che, lontano dal voler favorire un dialogo con la popolazione o rendere realtà le decennali promesse di rappresentatività politica, Pechino favorisce i controlli. Lee ha promesso di riportare Hong Kong ad essere una piattaforma finanziaria internazionale, ma dopo un anno di proteste represse con la Legge sulla sicurezza nazionale, e due anni e mezzo di isolamento da Covid Zero, l’impresa presenta molte incertezze.
VOTO 6: un nuovo esecutivo e un progetto di rilancio per Hong Kong ma sotto il segno del controllo e della repressione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Pillole asiatiche: Indonesia, Cina, Taiwan
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Solo alcuni Paesi in Asia sono pronti alla convivenza con il Covid
VERO
Con una popolazione vaccinata a più del 90%, Taiwan comincia timidamente a riaprire, partendo dai visti per affari. Stessa cosa vale per il Giappone e per la Corea del Sud, malgrado i nuovi record di contagi – per lo più poco severi. La Thailandia sta riaprendo, così come la Cambogia e l’Indonesia, intente a creare aree sicure per il turismo e per i viaggi d’affari. Resistono invece a questo sia Hong Kong, che la Cina – che continuano ad applicare lockdown estenuanti a ogni scoppiare di focolai, malgrado l’effetto catastrofico che questo sta avendo sulle economie locali (a Hong Kong, e nelle città colpite dai lockdown e dall’assenza di turismo).
La capitale indonesiana è Giakarta
FALSO
È stato approvato il progetto di spostare la capitale indonesiana da Giakarta alla nuova Nusantara, che sarà costruita nella provincia del Kalimantan Orientale, nell’isola del Borneo – la cui sovranità è divisa fra la Malaysia, al nord, e l’Indonesia, al Sud. La nuova capitale si è resa necessaria dato il rapido sprofondare di Jakarta, che si inabissa di diversi centimetri ogni anno, ma per quanto siano state fatte promesse per rendere Nusantara una “città verde”, molti temono che questo possa compromettere ulteriormente il fragile ecosistema del Borneo. Nusantara significa “arcipelago” in Javanese, una delle principali lingue riconosciute nel Paese (la cui lingua unitaria è il Bahasa Indonesia). Il costo totale della nuova città è stato calcolato a 28 miliardi di euro.
La Cina sta fortificando le sue frontiere
VERO
Ufficialmente, si tratta di limitare l’accesso non regolamentato alla Cina per proteggere dall’emergere di nuovi focolai Covid. Ma, contemporaneamente, l’ergersi di barriere metalliche ai confini della Cina sembra andare nella stessa direzione nella quale si muove Pechino dall’arrivo di Xi Jinping: una maggiore chiusura verso l’estero, e una diminuzione degli scambi internazionali. La città di Ruili, a lungo nota come una frontiera senza regole fra il Myanmar e la Cina, ha ora una barriera con telecamere, filo spinato e sensori elettronici. Lungo il confine con il Vietnam è sorta invece una barriera di quasi quattro metri, impedendo i piccoli scambi quotidiani stabiliti da decenni. Su internet, questo dispiegarsi di barriere impassabili è già stato battezzato La Grande Muraglia Meridionale.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Hong Kong, fine di una democrazia
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In tempo di elezioni, negli anni passati, Hong Kong sembrava quasi un territorio pienamente democratico: dibattiti televisivi e nei luoghi pubblici, volantinaggio per le strade, manifesti elettorali ovunque e schiere di volontari al lavoro per i loro candidati. Ora invece, gli ultimi due esercizi elettorali sono quasi ignorati dalla maggior parte della popolazione: le ultime elezioni del Consiglio legislativo, sorta di mini-parlamento locale a poteri ridotti (può approvare, ma non proporre, leggi) tenutesi lo scorso settembre, hanno riportato il 30% di affluenza alle urne, il dato più basso nella storia di Hong Kong.
E le elezioni del Capo dell’Esecutivo, che erano previste per marzo, sono state rimandate a maggio a causa dell’intensificarsi a Hong Kong dei contagi da Covid-19, ma solo un industriale senza esperienza in politica e senza appoggi concreti ha detto di volersi presentare come candidato – se il governo centrale approva la sua candidatura. La riforma elettorale secondo la quale solo i candidati giudicati “patriottici” possono presentarsi alle elezioni, e l’abbattersi su Hong Kong della Legge sulla Sicurezza Nazionale, imposta da Pechino nel 2020, hanno tolto ogni velleità di democratizzazione a Hong Kong, e nessuno presta nemmeno più tanta attenzione a quello che è diventato un esercizio privo di input popolare.
Le manifestazioni pro-democrazia del 2019
Il fermento che si era visto fino al 2019 era uno dei segnali più forti di quanto la popolazione di Hong Kong fosse davvero desiderosa di una democrazia più ampia, con suffragio universale pieno per tutti e tre gli attuali livelli di governo (distrettuale, legislativo, ed esecutivo). Una prospettiva che Pechino non era pronta ad accettare: la Cina, infatti, non ha elezioni per suffragio universale, i leader vengono scelti all’interno del Partito, e la promessa fu fatta ad Hong Kong all’epoca dei preparativi per il passaggio di sovranità dalla Gran Bretagna alla Cina, Pechino promise il suffragio universale, ma senza offrire una data. Poi, un tentativo di escamotage, con l’annuncio, nel 2014, delle elezioni popolari per il Capo dell’Esecutivo di Hong Kong (la figura più importante nella gerarchia politica locale) che poteva però essere scelto solo fra due, massimo tre, candidati pre-approvati da Pechino. Le manifestazioni passate alla storia come il Movimento degli Ombrelli di quell’anno, che bloccarono per quasi tre mesi alcune delle vie nevralgiche del territorio, furono proprio in risposta a questa versione di suffragio universale considerata inaccettabile, e descritta all’epoca come “elezioni alla nordcoreana”.
Nel 2019, quando di nuovo Hong Kong scese in piazza per mesi interi, in quelle che divennero manifestazioni sempre più caratterizzate dalla violenza poliziesca e da un raro inasprirsi anche delle azioni di alcuni dei manifestanti, le elezioni distrettuali di novembre si tennero con il 74% di affluenza alle urne. Una dimostrazione di quanto gli aventi diritto al voto continuavano a credere che le tensioni potessero essere risolte tramite le urne. Si è trattato invece di un’elezione che sembra aver definitivamente convinto Pechino a non fidarsi della volontà popolare liberamente espressa. Dopo anni passati a cercare di rafforzare i partiti definiti “pro-Pechino” – dato che l’assetto politico di Hong Kong è suddiviso fra schieramenti pro-Pechino e schieramenti pro-democrazia, prima ancora di essere ulteriormente suddivise in più tradizionali destra, centro e sinistra – che non hanno mai ottenuto la maggioranza popolare, la Cina ha deciso che le elezioni andavano modificate in modo drastico. Le elezioni distrettuali del 2019 avevano portato a 17 dei 18 distretti in cui è suddivisa Hong Kong a essere amministrate da consiglieri pro-democrazia, la maggioranza dei quali aveva espresso sostegno per le proteste nel corso della campagna elettorale. Uno dopo l’altro, i consiglieri sono stati quasi interamente squalificati per non poter sottostare al nuovo requisito obbligatorio di essere considerati “patriottici” dal Governo, e la popolazione sembra aver deciso che elezioni il cui risultato è deciso in partenza non hanno bisogno di essere prese sul serio.
Non che le cose fossero prive di intoppi prima: come abbiamo detto, le elezioni erano solo parziali. Nel Consiglio legislativo, prima della riforma patriottica, sedevano 70 legislatori, di cui solo 35 eletti per suffragio universale, mentre l’altra metà era selezionata tramite il voto di grandi elettori di categoria, che sceglievano un loro rappresentante. Dopo la riforma invece il numero dei legislatori è salito a 90, ma solo 20 sono eletti per suffragio universale, fra candidati pre-approvati. La bassa affluenza alle urne è infatti stata analizzata come il dato più importante delle elezioni del 2021, e non ha stupito gli analisti locali: per quanto fosse stato dichiarato illegale incitare a votare scheda bianca, o a non recarsi alle urne, gli aventi diritto al voto hanno preferito l’astensione. Fonti diplomatiche confermano che Pechino sia rimasta offesa dalla decisione degli hongkonghesi di non andare a votare, ma questo dimostra solo, ancora una volta, quanto profonda sia l’incomprensione che il Partito comunista cinese continua ad avere nei confronti di una società libera e delle sue aspirazioni.
Gli arresti e le elezioni per il prossimo Capo dell’Esecutivo
In passato, poi, le elezioni per il Capo dell’Esecutivo suscitavano grande attenzione, per quanto avessero diritto al voto solo 1200 persone, anche loro pre-selezionate: era infatti possibile cercare di esercitare una modica pressione sui candidati nel corso dei dibattiti pubblici, o nel corso di manifestazioni di piazza, se non altro per convincerli di quali fossero le tematiche che stavano particolarmente a cuore alla popolazione. Dal gennaio del 2020 invece non è più stato possibile manifestare, a Hong Kong, e se anche un’autorizzazione dovesse essere data, tutti i temi che potrebbero portare a una “disaffezione nei confronti del governo locale o centrale” sono considerati in contravvenzione della Legge sulla Sicurezza Nazionale. Non solo: ad oggi, sono imprigionati per aver infranto questa stessa legge i 47 principali rappresentanti dell’opposizione pro-democratica di Hong Kong, in attesa di processo da più di un anno. Sono accusati di “cospirazione per commettere atti sovversivi” per aver organizzato e preso parte a delle primarie nel luglio del 2020, dopo che l’accusa ha stabilito che cercare di vincere le elezioni era un tentativo di sovvertire il governo. Le elezioni legislative del settembre del 2021 si sono dunque tenute con i politici più amati di Hong Kong dietro le sbarre o in esilio.
Inutile dunque immaginare che Hong Kong nutra grosse aspettative per l’elezione prossima del capo dell’Esecutivo: non solo la scelta avverrà, una volta di più, senza chiedere l’opinione popolare, ma ora che la stampa indipendente è stata fatta chiudere, e che i rappresentanti politici invisi a Pechino non sono più liberi di parlare, la questione di chi possa venire scelto a dirigere il Governo locale non è poi così avvincente. Continua a non essere chiaro, fra le altre cose, se Pechino vorrà far rimanere al potere Carrie Lam, l’attuale numero uno, molto impopolare fra la popolazione e che non solo era al potere quando la città fu travolta dalle manifestazioni, ma che sembra anche aver fallito nel compito di mantenere a Covid Zero Hong Kong (che al momento di scrivere registra diverse decine di nuovi casi al giorno). Altri nomi di possibili favoriti, però, non sono ancora stati resi pubblici, e resta dunque da vedere se Pechino vorrà far sì che nessuno dei Capi dell’Esecutivo selezionati nei primi 25 anni di Hong Kong in quanto Regione ad amministrazione speciale sotto la Cina sia stato sufficientemente apprezzato (da Pechino o da Hong Kong) da servire per due pieni mandati.
La formula di “Un Paese Due Sistemi” con cui Hong Kong doveva essere governata sta infatti mostrando tutti i suoi limiti – dal momento che il Paese in questione è allergico alla democrazia, un fatto che prende il sopravvento su ogni caratteristica dei “due sistemi” autorizzata a sopravvivere.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Fukushima, traffico di donne in Cina, inquinamento in Mongolia: notizie asiatiche
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Cina: come la scoperta di una donna schiavizzata ha energizzato la società civile
Come tanto altro di questi tempi, anche la storia della donna schiavizzata della municipalità di Fen, nella città di Xuzhou (Jiangsu) è diventata pubblica tramite i social media, scioccando la nazione: è stato un video su Duoyin (il nome con cui si chiama TikTok in Cina, di proprietà della Duoyin) a mostrare a tutti una donna incatenata per il collo, in una casa dai muri fatiscenti. Il video è stato fatto circolare freneticamente da cittadini infuriati davanti a questo abuso, e lo scandalo non è stato fermato nemmeno dagli stretti controlli su Internet del periodo olimpico. Quello che è stato appurato è che si tratta di una donna madre di otto figli, vittima del traffico di persone (che si era reso acuto nel periodo più duro della politica del figlio unico, ora eliminata). Oggi, sappiamo che la donna si chiama Xiao di cognome, soffre di gravi problemi di salute mentale, e che è stata venduta come sposa per ben due volte da trafficanti. È nata nel 1977 nello Yunnan, ed è ora ricoverata in un ospedale dopo che lo scandalo è esploso su Internet. Fedeli ai loro istinti, le autorità hanno cercato di mettere tutto a tacere; rassicurando la popolazione sul fatto che il “caso” sia stato risolto, e la donna liberata. Ma non tutti sono così facilmente persuasi, e la tragedia ha ridato vita a quanti cercano risposte sul traffico di persone in Cina, in particolare donne, e sul modo in cui le autorità locali hanno potuto ignorare qualcosa di così grave – se non tramite corruzione e connivenza. Estendendo di nuovo la conversazione alla necessità di avanzare il dibattito sull’eguaglianza di genere nel Paese. I media nazionali, schiacciati dalla censura, non hanno coperto la notizia, ma molti blogger e semplici utilizzatori di social media si sono mobilitati per mantenere alta la pressione sullo scandalo, scoprendo anche altri casi di donne trafficate a Fen. Mostrando ancora una volta alle autorità quanto la società cinese, con maggiore libertà di espressione, sia una forza positiva.
Voto: 10 alla società civile che denuncia con forza e coraggio gli abusi, grande peccato che il governo abbia paura invece di credere nei cittadini.
Giappone: prodotti di Fukushima in esportazione
Dopo undici anni dalla tripla catastrofe che si è abbattuta su Fukushima – il terremoto, lo tsunami e la distruzione della centrale nucleare – il Giappone è riuscito a convincere i suoi partner regionali a importare nuovamente prodotti della regione. Sia Taiwan che Singapore, conosciuti per avere alcune delle regole di sicurezza più severe per l’importazione di prodotti alimentari, hanno infatti confermato i risultati ottenuti dalle autorità agricole giapponesi, che mostrano livelli di radioattività nel riso e nella frutta di Fukushima paragonabili a quelli di ogni altro prodotto in commercio. Si tratta di un traguardo significativo in particolar modo dal punto di vista psicologico, dato che i risultati dei test condotti negli ultimi anni avevano già portato i prodotti agricoli di Fukushima ad essere venduti a livello nazionale, ma la ripresa economica della zona aveva bisogno anche del ritorno dell’approvazione e della fiducia dei consumatori su scala internazionale. La ricostruzione nella zona infatti deve ancora affrontare sia le conseguenze della triplice catastrofe, che lo stigma ormai attaccato al nome di Fukushima.
Voto: 9 alla tenacia e iniziativa dei coltivatori giapponesi e alle autorità che li sostengono.
Cina: gli scienziati sviluppano un nuovo cultivar di riso resistente al sale
Fino a 80 milioni di persone potranno essere nutrite grazie a un nuovo tipo di riso sviluppato nel nord della Cina, capace di crescere nelle terre salate del Golfo di Bohai, la regione del Nord della Cina dove si trova Tianjin. Chiamato “riso d’acqua di mare”, il cultivar è frutto delle ricerche per garantire la sicurezza alimentare al Paese in vista dei cambiamenti climatici e dell’innalzarsi del livello dei mari. La scoperta era stata annunciata da Yuan Longpin, lo scienziato cinese considerato il “padre del riso ibrido” che l’anno scorso aveva detto che il “riso d’acqua di mare” stava dando buoni ma limitati risultati. Oggi invece il primo tipo di riso che riesce a resistere a terreni alcalinizzati e periodicamente bagnati da acqua marina può già essere cresciuto in maniera massiccia. Non solo, il tipo di selezione genetica portato avanti per sviluppare questo nuovo riso (creato a partire da riso selvatico) consente anche raccolti leggermente più alti rispetto alla media nazionale data da altri tipi di riso. Il “riso d’acqua di mare” è già entrato in produzione e dovrebbe essere disponibile nei negozi cinesi fin dal prossimo raccolto.
Voto: 9 alla scienza e la ricerca finalizzate a un bene quotidiano di tutti.
Mongolia: Ulaanbaatar è inquinatissima
La cappa costante che soffoca Ulaanbaatar, la capitale della Mongolia, continua a essere fra le più gravi del pianeta, e il Primo Ministro del Paese, Oyun-Erdene Luvsannamsri, ha dunque deciso di licenziare Urtnasan Nyamjan, Ministro dell’Ambiente ed ex giornalista, che non avrebbe affrontato il problema con sufficiente determinazione. Il compito è improbo: la capitale mongola si trova in una conca, il grande freddo dei mesi invernali significa che la sovrappopolata città brucia carbone e l’assenza di infrastrutture sufficienti per i trasporti fa sì che le auto private intasino le vie di Ulaanbaatar. La città è spesso ai primi posti mondiali per inquinamento. Le conseguenze sono severe, fra cui alti casi di incidenza di asma e problemi respiratori già a partire dai trent’anni, un calo del 25% nella fertilità delle donne. Proposti dunque dunque modi per non bruciare più solo carbone, trasporti in comune e perfino maggiore accessibilità a cavallo delle vie della capitale. Ma per fare tutto questo, serve più che non la volontà di un unico ministero.
Voto: 5 a un Governo che non sa rispondere a oggettive minacce collettive.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Corea del Sud, Cina e Giappone: miti e leggende
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Tokyo e Pechino inaugureranno una hotline militare
VERO
Tokyo e Pechino, malgrado un lungo periodo di tensioni diplomatiche, hanno deciso di inaugurare una hotline militare che possa contribuire a smorzare potenziali crisi nello Stretto di Taiwan, e nelle zone in cui si trovano alcune fra le isole contese fra la Cina e i suoi vicini. La hotline dovrebbe essere operativa alla fine del 2022, ed è stata decisa dopo una lunga conversazione telefonica fra Nobuo Kishi, il Ministro della Difesa giapponese, e Wei Fenghe, la sua controparte cinese. Si tratta del rilancio di un meccanismo che era stato approntato nel 2018 per evitare scontri aerei o marittimi nella zona in questione, ma che era stato abbandonato.
Il ridimensionamento di alcune aziende tech in Cina spaventa
FALSO
Malgrado la decisione del Governo centrale cinese di imporre il ridimensionamento di alcune delle principali aziende del tech, di cui hanno fatto le spese imprenditori famosi come Jack Ma, di Alibaba, e aziende come Tencent, Baidu e JD.com, malgrado questo (e secondo alcuni proprio grazie a questo) siamo in un nuovo momento d’oro per le start up cinesi, in particolare nel settore sanitario, manifatturiero avanzato e enterprise software. Malgrado siano stati imposti maggiori strumenti regolatori, il settore è sufficientemente avanzato e sviluppato da consentire a nuove aziende di entrare in un mercato oggi più aperto.
Il boom culturale coreano tocca anche il cibo
VERO
Il fascino suscitato dalla Corea del Sud e dal suo soft power continua, e si espande anche a nuovi settori. Nel 2020 infatti il Paese ha esportato 4.3 miliardi di dollari Usa in cibo, in particolare verso nuove destinazioni toccate dalla nuova passione per la cultura pop coreana. Con il successo della serie di Netflix Squid Games e della boy band BTS, “l’onda coreana” ha portato all’esportazione di ravioli coreani (chiamati mandu) e altri surgelati, spaghettini coreani (visti nel film Parasite). I produttori alimentari coreani hanno visto le vendite aumentare del 24% nel giro di un anno – raggiungendo il livello più alto dalla fine della guerra ad oggi.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
Notizie dall’Asia: Hong Kong, Cina, Giappone, Taiwan
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Hong Kong a 25 anni
Il 2022 segna i primi venticinque anni da quando Hong Kong è passata da mano britannica a mano cinese, diventando una Regione amministrativa speciale della Repubblica popolare cinese dopo un secolo e mezzo come Colonia britannica. Ma Hong Kong si presenta a questo traguardo molto modificata: dopo un periodo iniziale di cambiamenti poco vistosi, il Governo centrale a Pechino ha deciso che Hong Kong non poteva continuare ad essere come era. Ecco dunque che Hong Kong oggi non ha più i sindacati indipendenti, o le Unioni degli Studenti nelle università. Queste, come del resto le scuole materne e le medie, devono oggi prestare giuramento di fedeltà alla Patria, che, secondo le spiegazioni impartite dopo l’imposizione della Legge sulla sicurezza nazionale, significa essere anche a sostegno del Partito Comunista.
I simboli che rappresentavano nei campus universitari la memoria del Massacro di Tiananmen sono stati rimossi, e l’Alleanza che ne organizzava la veglia ogni 4 giugno è stata fatta sciogliere, con alcuni dei suoi membri principali in prigione. Si sono appena tenute delle elezioni legislative, ma ora sono con “caratteristiche cinesi”: solo i candidati reputati patriottici hanno avuto il diritto a partecipare alle elezioni, mentre i 47 più noti leader dell’opposizione pro-democrazia si trovano in prigione per aver organizzato delle elezioni primarie, accusati dunque di aver cercato di ottenere la maggioranza al fine di sovvertire il Governo. Il principale quotidiano dell’opposizione, l’Apple Daily, è stato fatto chiudere, e il suo fondatore, Jimmy Lai, si trova in prigione in attesa di un numero crescente di processi. La radio pubblica, RTHK, non ha più un accordo con la BBC per le notizie internazionali, ma riceve ora notizie dall’agenzia cinese Xinhua e dalla televisione di Stato CCTV. Così come le nuove elezioni con candidati pre-selezionati hanno attratto l’interesse di appena il 30% degli aventi diritto al voto (contro il 71% nelle ultime elezioni, nel 2019), più di centomila persone hanno deciso di lasciare la città, cercando rifugio in primo luogo in Gran Bretagna. La Cina non ha potuto tollerare che nemmeno 7.5 milioni dei suoi abitanti godessero di più libertà civili.
Voto: 1 a Pechino. Intollerabile tornare indietro su diritti e democrazia, nel terzo millennio.
Influencer occidentali per propaganda soft cinese
La propaganda cinese può contare su un vasto apparato che gode del pieno sostegno del governo cinese, e tutti i mezzi di comunicazione, social media inclusi, sono soggetti a una stretta censura. Ma da un po’ di tempo a questa parte – e in particolare da quando si sono intensificate le denunce per quanto avviene nel Xinjiang e per la repressione politica a Hong Kong – Pechino ha investito sugli influencer dei social media, bloccati in Cina, per cercare di diffondere propaganda in modo meno ovvio. Per fare ciò, la Cina ha ingaggiato la Vippi Media, un’azienda di consulting in New Jersey, Usa, per promuovere la Cina prima delle Olimpiadi. In totale, secondo il Foreign Agents Registration Act Records, parte del Governo Usa, la Cina sta spendendo 170 milioni di dollari Usa nei soli Stati Uniti per assumere influencer e farsi aiutare a dare una migliore immagine della Cina all’estero.
Voto: 6 al Governo cinese. Investire sulla reputazione denota una preoccupazione sana. Sarebbe meglio farla precedere da azioni concrete…
Taiwan continua a essere indispensabile
L’industria dell’alta tecnologia taiwanese, in particolare delle chip (semiconduttori) utilizzate in tutte le tecnologie civili e militari, è talmente forte da far sì che l’isola sia indispensabile. Questa supremazia tecnologica che per il momento non è replicabile in nessun luogo, rende Washington particolarmente inquieta all’idea che Pechino voglia intervenire militarmente su Taiwan – dato che questo creerebbe una dipendenza tecnologica nei confronti della Cina difficile da gestire. Ma la Cina stessa dipende dalle chip prodotte a Taiwan, e non potrebbe permettersi di rendere inservibili le aziende taiwanesi che producono i più avanzati semiconduttori. Alcuni parlano di uno “scudo di silicone” per Taiwan, che nel rendersi indispensabile alle due maggiori economie del pianeta, si sarebbe garantita protezione da avventurismi militari. La ministra dell’economia taiwanese, Wang Mei-hua, ha dichiarato che “l’alta tecnologia taiwanese non è importante solo economicamente, ma anche per la nostra sicurezza nazionale”.
Voto: 8 alla capacità strategica taiwanese. L’alta tecnologia garantisce a Taipei la sopravvivenza.
Giappone: il primo Paese asiatico carbon neutral?
Sono già chiamate kishidanomicse e rappresentano il piano economico e ambientale del Primo Ministro giapponese, Fumio Kishida, che vede al primo posto il progetto di tramutare il Giappone nel primo Paese asiatico le cui emissioni sono pari a zero – entro il 2050. A questo scopo sono state lanciate numerose iniziative pubbliche e altre volte a incentivare i privati – a cui invece è stato dato il nome di “nuovo capitalismo”. La più grande centrale di produzione di idrogeno al mondo è stata inaugurata nei pressi di Fukushima – gesto simbolico, per trasformare l’immagine della città al centro del disastro nucleare del 2011 in un luogo sinonimo di “energia pulita”, mentre la città di Saga vuole specializzarsi in tecnologia carbon capture per contrastare gli effetti degli impianti di trattamento di scorie presenti nel distretto. Il piano, infatti, è centrato in particolar modo sull’ampliamento della produzione e dell’utilizzo di energie pulite, insieme alla promessa (fatta a Glasgow) di eliminare ogni tipo di disboscamento entro il 2030, e di creare un fondo per progetti ambientali nel resto dell’Asia. Da seguire, però, la messa in atto di tutti questi buoni propositi.
Voto: 8 a kishidaeconomics. Le buone intenzioni rappresentano l’inizio necessario di politiche innovative.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
Falsi miti e leggende sull’Asia
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Gli internauti cinesi sono affascinati da un assassinio multiplo
VERO
Era iniziato come una disputa fra vicini, ed è finito con due morti e diversi feriti, dopo che un uomo di 55 anni della città di Putian ha ucciso il suo vicino settantenne e sua nuora, ferendo i nipoti e la moglie del vicino ucciso. L’uomo, di cognome Ou, con pochi mezzi ma intenzionato a costruire una casa per sé e per la madre malata, era stato ostacolato in tutti i modi dalla vittima e dalla sua famiglia, ricchi proprietari terrieri che non lo volevano come vicino. La differenza di classe appassiona dunque gli internauti cinesi, che hanno scoperto che Ou era stato elogiato in passato per aver salvato un ragazzo dall’affogamento. Trasformandolo così in uomo onesto portato al crimine dalla corruzione e soperchieria dei nuovi ricchi. Prese in contropiede, le autorità censurano.
I taiwanesi sono intimoriti dalle incursioni aeree cinesi
FALSO
Le incursioni nello spazio di difesa aereo taiwanese da parte di aerei cinesi sono continuate per settimane. Un avvertimento a Taiwan stessa e agli Stati Uniti, che si sarebbero mostrati eccessivamente amichevoli nei confronti dell’isola autogovernata ma che Pechino considera suo territorio. Malgrado il surriscaldarsi della tensione militare e politica, però, i sondaggi continuano a mostrare che più del 70% dei taiwanesi non è preoccupato, conta di poter continuare a vivere la sua vita indipendentemente dalle provocazioni cinesi, e sentendosi sempre meno legato alla Cina. Il tentativo di istillare tensione a Taiwan con incursioni massicce (più di cento aerei al giorno) non sta producendo i risultati sperati.
Elezioni a Hong Kong senza partiti di opposizione
VERO
Dopo un anno e mezzo di Legge sulla sicurezza nazionale, imposta a Hong Kong da Pechino, il panorama politico nella ex colonia britannica è irriconoscibile. Se non dovessero esserci ulteriori modifiche al calendario, le prossime elezioni legislative dovrebbero tenersi alla fine del 2022 (erano previste per il 2020 ma furono rimandate per pandemia) ma, dopo l’epurazione dei membri dell’opposizione – 47 di loro sono in prigione accusati di tentata sovversione per aver partecipato a delle primarie – e le nuove regole sulla necessità di “amare la Patria e amare il governo del Partito comunista” per potersi candidare, si terranno senza la partecipazione dei gruppi pro-democrazia.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
Notizie dall’Asia: Cina, Corea del Sud e Giappone
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Cina: trovato un accordo per la tassa sugli immobili
Sono stati mesi difficili per il settore immobiliare in Cina, uno dei pilastri più importanti dell’economia del Paese. La decisione del Governo centrale di non soccorrere il colosso dell’immobiliare Evergrande, con debiti in sofferenza, ha mostrato che l’immobiliare non è più considerato ‘sacro’ – per quanto non si sia ancora visto l’impatto sull’economia cinese del fallimento di questo gruppo. Ma non è l’unico grosso cambiamento: dopo anni di discussioni (iniziate nel 2003) e tentativi di trovare misure che non soffochino l’economia né la necessità dei governi locali di avere una buona fonte di reddito dalla vendita dei terreni, ecco che è stata annunciata un’imminente tassa sull’immobiliare. O quasi. L’ostilità a questa imposta è infatti tale da aver portato il Governo a lanciare dapprima un progetto pilota, solo in alcune regioni, non ancora annunciate. La crescita dell’immobiliare negli ultimi trent’anni è stata di più del 2000% portando quindi a inquietanti livelli di speculazione, ma l’imposta aggiuntiva si è scontrata con l’opposizione anche all’interno del Partito (i cui membri sono loro stessi proprietari immobiliari). Dunque, decisione salomonica: progetto pilota, solo in alcune località, e tasse applicate a immobili residenziali e non, ma non ai terreni agricoli, o alle abitazioni costruite su terreni agricoli in modo legittimo. L’incarico di stilare la lista delle località pilota spetta al Consiglio di Stato, e sarà poi rivista dopo cinque anni. Il timore è che una tassa sull’immobiliare possa portare a un crollo dei prezzi, con un impatto negativo sui risparmi popolari, che sono in gran parte investiti in questo settore: si calcola infatti che circa il 90% delle famiglie cinesi possegga una casa, o per uso familiare o per investimento. Al momento, solo chi ha case di lusso o seconde case nelle municipalità di Shanghai e di Chonqing è tassato, ma si tratta di imposte ridotte: 0.4% e 1.2% rispettivamente. La percentuale della nuova imposta non è stata resa nota.
Voto: 7 al Governo cinese per questi tentativi di fiscalità intelligente. Tassare l’economia improduttiva (in modo equilibrato) spinge la componente dinamica del sistema a maggiori investimenti e quindi produce crescita.
Cina: nuova stretta sui media
La Cina è entrata in un periodo ancora più delicato del solito, i dodici mesi precedenti il prossimo Congresso plenario del Partito comunista. Questa scadenza quinquennale è la più importante del calendario politico del Paese, e porta a manovre preparative complicate. Data l’opacità del Partito, si sa solo che durante il Congresso dovrebbe essere stabilito il terzo mandato di Xi Jinping (che ha tolto il limite di due mandati) e verrà rinnovato il Politburo. Per assicurarsi che tutto ciò avvenga senza imprevisti, ecco un ennesimo giro di vite sulla stampa, a cui sono state fornite nuove direttive su cosa sia pubblicabile. Non sarà più possibile riprendere notizie che escono sul gruppo Caixin Media, uno dei più rispettati. L’amministrazione del cyberspazio cinese ha pubblicato una lista che dettaglia quali media, account social e agenzie governative possono essere riprese, per un totale di 1300 unità. Questo significa che nessuna notizia riportata da Caixin, o da altri media che non fanno parte dei 1300, possa apparire sui portali internet più utilizzati, come Sina.com. Se il controllo delle informazioni è uno dei perni della governance cinese, lo è ancora di più nell’anno pre-Congresso.
Voto: 3 al Governo cinese, che ha l’ossessione del controllo della stampa libera.
La Corea del Sud vuole dichiarare conclusa la guerra
La Guerra di Corea, durata dal 1950 al 1954, e combattuta dalle forze del Nord (che invasero il Sud) appoggiate dalla Cina, e dalle forze del Sud, appoggiate da una missione Onu diretta dagli Stati Uniti, non si è conclusa con un trattato di pace, ma solo con un armistizio. Ora, Seul sta mettendo crescente pressione su Washington affinché si possa, finalmente, firmare la pace, e fare in modo che la Corea del Sud possa anche rivedere il suo servizio militare (tre anni obbligatori per tutti gli uomini dopo i 18 anni, con crescenti ma ancora minime esenzioni per obiettori di coscienza), impegnarsi per denuclearizzare la penisola, e ridurre l’investimento in armamenti a cui si è votata fino ad oggi. Il Presidente coreano, Moon Jae-in, ha già proposto alle Nazioni Unite che si proceda verso un trattato di pace, e ha proposto più volte la ripresa del dialogo con Pyongyang. Gli Stati Uniti sembrano però restii a ritirare le truppe Usa dal territorio sudcoreano, poco convinti che basti un trattato di pace a rendere la Corea del Nord un vicino affidabile.
Voto: 8 al Governo della Corea del Sud. È venuto il tempo di provare a fare la pace!
Giappone: come gestire l’invecchiamento della popolazione
Il Giappone sta dimostrando che il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione che lo caratterizzano possono essere gestiti, mantenendo alta la qualità della vita delle persone in età elevata. Circa il 25% della popolazione giapponese è al di sopra dei 65 anni di età, un dato demografico che ha costretto la sanità nazionale a trovare un modo per diminuire l’ospedalizzazione e migliorare lo stato di salute di questo gruppo di cittadini – un bisogno rivelatosi ancora più urgente nel corso della pandemia. Tramite progetti di cure integrate, che prevedono che gli anziani siano seguiti a domicilio da nutrizionisti e infermieri, è stato possibile diminuire il numero di persone che soffrono di un secondo infarto, passando dal 10% nel 2017 al 3% nel 2020. Il Sistema di cure integrate a lungo termine, introdotto nell’anno 2000 al fine di coordinare gli aiuti finanziari agli over 65 per cure mediche e socializzazione, ha portato a risultati così positivi che il Paese sta cercando ora di promuoverlo a modello internazionale per intensificare la prevenzione e garantire una buona qualità della vita anche in età più avanzata.
Voto: 9 al Governo giapponese. Ecco un modello intelligente e alternativo di gestione dell’invecchiamento della popolazione. Che non preveda assurde rincorse demografiche, insostenibili nel lungo periodo del pianeta terra…
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
Miti e leggende su Corea del Sud, Cina e Giappone
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I RAGAZZI SUDCOREANI SONO INDEBITATI
VERO
Lo chiamano “bittoo” – slang sudcoreano per “investimenti”, una smania che sta portando i giovani sotto i trentacinque anni a indebitarsi oltre misura – portando la Banca centrale ad aumentare i tassi di interesse e rifiutare diverse richieste di prestiti. Gli strumenti fiscali introdotti non hanno sortito effetto e gli ultimi dati mostrano che gli under 30 hanno debiti al 270% del loro reddito annuale, con istituti di credito privati con interessi vicini all’usura. Questo perché mentre l’economia sudcoreana si indebolisce – dopo due anni di lockdown e focolai di Covid – i prezzi dell’immobiliare e quelli azionari continuano a salire, tentando molti giovani sottooccupati o disoccupati a investire come se fossero in un casinò (illegali in Corea del Sud per i residenti).
IN CINA LE INCISIONI SUGLI IPAD SONO CENSURATE
VERO
Hai appena comprato un iPad, e decidi di far fare al negozio una piccola incisione per personalizzarlo. Il tuo nome? Va benissimo. Una frase patriottica? Perché no. Ma il Citizen Lab (laboratorio interdisciplinare all’Università di Toronto) dopo mesi di ricerca ha confermato che Apple si rifiuta di incidere, per esempio, il nome dell’artista dissidente Ai Weiwei, o slogan pro-democrazia, o date considerate “sensibili” in Cina. Forse non del tutto inaspettato – ma la sorpresa è che Apple ha deciso di semplificarsi la vita applicando le stesse restrizioni anche a Hong Kong e Taiwan, per quanto siano giurisdizioni diverse. Ancora una volta, la censura cinese, in particolare quando subappaltata ad aziende estere, si estende oltre i suoi confini.
IL GIAPPONE CONTINUA A TOLLERARE LA YAKUZA
FALSO
La criminalità organizzata giapponese, nota come yakuza, ha spesso avuto un ruolo romanticizzato in letteratura o al cinema – che per lungo tempo ha rappresentato una certa accettazione dei gruppi mafiosi. Ma su questo il Paese sta cambiando, e la tolleranza verso gli “uomini d’onore” giapponesi non è più una realtà. Al punto che per quella che sembra essere la prima volta nella storia giapponese un leader yakuza è stato condannato a morte per aver ucciso un uomo e aver ferito altre tre persone. Il condannato è Nomura Satoru, a capo del gruppo Kudo-kai, della città di Kitakyushu. Il Giappone è pronto a sbarazzarsi della violenza mafiosa – ma ricorre purtroppo alla pena capitale per farlo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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Cina: Xi e la “prosperità comune”
Dalla Cina, la notizia più importante dell’estate riguarda la nuova direzione politica ed economica voluta dal Presidente cinese (e Segretario Generale del Partito Comunista) Xi Jinping. Come sempre con le novità cinesi, anche questa ha una sua sigla, o uno slogan, ovvero: prosperità Comune, che significa che Xi ha deciso di occuparsi di ridurre alcune delle maggiori ineguaglianze nella società cinese, con un diktat dall’alto che prevede nuovi metodi per eliminare le disparità. Non è ancora del tutto chiaro di cosa si tratterà – fra le ipotesi paventate finora c’è quella di introdurre una specie di patrimoniale, e quella di lasciare maggior spazio allo sviluppo delle opere di beneficenza, un terreno storicamente visto con un certo sospetto. Quella che può sembrare una decisione volta a smussare lo scontento che si accompagna all’aumentare delle grandi fortune va però letta anche all’interno di quel costante evolversi del Partito per mantenere il potere. Se fino a ieri consentire che si venisse a creare una classe miliardaria serviva al Partito, oggi questa stessa classe miliardaria potrebbe creare risentimento, e portare a squilibri sociali. Dunque, ecco che va ridimensionata. Quelli che ne hanno fatto le spese per primi sono stati alcuni degli straricchi legati ad aziende di nuove tecnologie – da Alibaba a Didi (gruppo di ride hailing, simile a Uber) e quelle intorno alla regione del Zhejiang, una fra le più abbienti della Cina e che è stata nominata come regione-pilota per la Prosperità Comune. Tencent, un’altra azienda legata a Internet, ha annunciato di voler spendere 7 miliardi di dollari Usa per promuovere il progetto – seguendo un copione in cui chi non vuole essere penalizzato deve mostrarsi entusiasta rispetto alle direttive dall’alto. L’iniziativa Prosperità Comune rispolvera parte del linguaggio comunista più classico, ma sembra anche mettere in disparte quella che era stata la frase-guida di Deng Xiaoping secondo il quale era normale che certi si arricchissero prima di altri. E dimostra una volta di più, se ce ne fosse bisogno, che l’economia cinese è strettamente pilotata dall’alto, e che le libertà e le iniziative private sono per grazia del Partito.
Voto: 8 a iniziative che distribuiscono reddito, 4 se si tratta solo di maquillage.
Cina: stop ai tutor e alle scuole di ripetizione
Da luglio, in modo abbastanza inaspettato, la Cina ha cominciato a mettere al bando le scuole di ripetizione e i tutor privati, un settore di grandissima importanza nel Paese, al punto che i sette principali gruppi di tutoring (alcuni dei quali quotati in Borsa negli Stati Uniti) avevano più di 250.000 impiegati i quali sono ora costretti a cercare un altro lavoro. Non è chiaro che cosa ci sia dietro alla decisione del Governo di eliminare questo tipo di scuole, ma le chiusure si accompagnano alla decisione di autorizzare fino a tre figli per famiglia (per contrastare il rapido invecchiamento della popolazione) – e al fatto che molti aspiranti genitori trovano eccessivamente costoso avere figli, in particolare per l’alta competizione scolastica. Il sistema di ripetizioni private serviva proprio a consentire agli studenti di integrare l’insegnamento ricevuto a scuola, per garantirsi voti migliori e la possibilità di superare gli esami necessari ad arrivare fino all’università. Ma assistiamo anche a un severo aumentare dei controlli su insegnanti, scuole e libri di testo, e il desiderio di abbassare i costi dell’avere figli sembra accompagnarsi a quello di sorvegliare più da vicino quanto viene insegnato ai ragazzi cinesi.
Voto: 0 a uno Stato così Leviatano da condizionare pesantemente la formazione dei ragazzi.
Corea del Nord: la perdita del peso di Kim Jong-un
Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, da alcuni mesi sta perdendo peso in modo rapido e visibile. Nessuno è riuscito a capire quale sia il motivo del dimagrimento di Kim, che era abbastanza corpulento, e se questo sia in conseguenza di una dieta, o di una malattia – in particolare in tempi di pandemia. Data l’opacità del Paese, però, non stupisce che il Governo nordcoreano continui a mantenere il silenzio sia sulla salute del leader che sulla questione. I pochi accenni pubblici alla cosa lasciano confusi quanto prima: lo scorso giugno la televisione nordcoreana aveva trasmesso un’intervista nella quale un uomo, presentato come semplice cittadino, si diceva “con il cuore spezzato” per il rapido dimagrimento di Kim. Ma in agosto ecco che la Televisione Centrale Coreana (intesa come della Corea del Nord) ha cominciato a mandare in onda un cartone animato che ha come protagoniste due amiche. Una magra. L’altra cicciottella. La magra non perde occasione di dire all’altra che dovrebbe camminare e non prendere l’autobus, che deve mangiare meno, e che deve, insomma, pensare alla linea. Il mistero si infittisce, al punto da chiedersi se la propaganda stessa non sia incerta sul da farsi.
Voto: 0 a al dittatore Kim, magro o grasso che sia.
Taiwan: tutte le lingue sono valide
Taiwan, dove la lingua ufficiale è il cinese mandarino, è oggi impegnata a dare spazio e dignità alle lingue numericamente minoritarie. La lingua locale, chiamata Hokkien (o anche taiwanese, o minanhua) è parlata dal 70% della popolazione ed è utilizzata anche in ambienti governativi e in altri contesti pubblici. Le lingue delle popolazioni indigene – circa mezzo milione di persone, per lo più residenti nelle regioni centrali di Taiwan − stanno ricevendo aiuti per salvaguardare le loro lingue, a rischio di estinzione. Gli abitanti indigeni parlano sedici lingue diverse, fra cui Paiwan, Atayal, Thao, Puyuma, e varie altre lingue appartenenti al gruppo austronesiano. Per salvaguardare la diversità linguistica, il governo taiwanese ha aumentato i fondi erogati al Consiglio delle Popolazioni Indigene per promuovere l’insegnamento, la creazione di libri di testo, e la trascrizione fonetica per le lingue unicamente orali. La principale critica mossa nei confronti del programma è che i soldi stanziati sono ancora insufficienti, e i gruppi di lavoro troppo piccoli: ma la libertà di promuovere lingue minoritarie, e il sostegno governativo in questo impegno, sono più che rare nella regione.
Voto: 7 al Governo di Taiwan, per il sostegno alla diversità linguistica e alle minoranze.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
Hong Kong, la città aperta
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Le statistiche generali di Hong Kong spesso sorprendono chi la considera solo una città moderna fatta di grattacieli e soprelevate che si intrecciano a mezz’aria per garantire un traffico scorrevole. Questi i dati principali dell’ex colonia britannica, tornata sotto sovranità cinese nel 1997: 7,5 milioni di abitanti, su un territorio di 1110 chilometri quadrati – e una delle maggiori densità urbane al mondo, dal momento che solo il 25% della superfice è sviluppata per essere abitabile, mentre oltre il 40% è parco naturale protetto.
Hong Kong viene chiamata città, ma questa è una parola che definisce in modo insufficiente il territorio, che comprende diverse città al suo interno, sparse per i suoi luoghi principali: l’isola di Hong Kong, e la penisola di Kowloon (dove si trova per esempio il conglomerato di Shatin con più di un milione di abitanti, e il distretto di Mong Kok, con la maggiore densità al mondo: 130.000 persone per chilometro quadrato). Poi c’è l’isola di Lantau, per la maggior parte verde e disabitata ma che comprende anche l’aeroporto di Chek Lap Kok, e, adiacente, la nuova città di Tung Chung (200.000 abitanti) da cui si vede la Lantau Peak (934 metri sul livello del mare, la seconda montagna più alta di Hong Kong, dopo Tai Mo Shan, 957 metri). Lamma, Peng Chau e Cheng Chau sono le altre tre principali isole abitate, per quanto di dimensioni molto minori. Non siamo davanti a una megalopoli tipo Tokyo, o quell’ininterrotta dimensione urbana che porta da Osaka a Kyoto e Kobe senza soluzione di continuità. Il territorio di Hong Kong, infatti, è frammentato in isole e isolotti, ma è anche montuoso, una realtà morfologica che ha spinto il governo, a più riprese, ad aumentare la superfice abitabile riportando terra dal mare piuttosto che rendendo vivibili i territori a maggiore elevazione. In un certo senso, potrebbe essere la città ecologica per eccellenza – se non fosse per la propensione governativa a portare avanti progetti mastodontici, più per sfida ingegneristica e per compiacere il governo centrale, a Pechino, che non per reale necessità immediata.
Ma sia la morfologia del terreno che le particolarità storiche e politiche di Hong Kong ne fanno un luogo complesso e affascinante – e una città che ha dimostrato di sapere mettere a punto molte soluzioni innovative in passato, e che potrebbe continuare a farlo anche in futuro. In particolare se non si ritroverà stretta in una morsa politica interamente fuori del controllo dei suoi abitanti.
Hong Kong, per quanto abitata almeno fin dalla dinastia Tang (618-907) cominciò a essere sviluppata in modo significativo e a vedere una rapida espansione della popolazione nella seconda metà dell’Ottocento, dopo che era stata ceduta ai britannici in seguito alla sconfitta cinese nella Prima Guerra dell’Oppio (1839-1842). Poi, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e ancor più la fine della Guerra civile cinese (1949) Hong Kong, dedita al commercio e punto di appoggio per chi faceva affari nella regione, si tramutò improvvisamente in terra di rifugio che dovette trovare in fretta il modo di alloggiare un milione di rifugiati sfuggiti alla “Nuova Cina” maoista. Sulle prime, l’afflusso massiccio portò ad una serie di bidonville nelle zone oggi di Diamond Hill, Wong Tai Sin, Shek Kip Mei, eccetera: luoghi perennemente a rischio di incendi, dove la vita era insalubre e la sicurezza quasi inesistente. Proprio gli incendi portarono allo sviluppo di alcune delle immagini urbane più caratteristiche di Hong Kong, quella degli housing estate – enormi gruppi di caseggiati a prezzi controllati, ideati per ospitare migliaia di persone. Gli estate di Hong Kong sono stati sviluppati negli anni Sessanta e Settanta, quando anche altre grandi città stavano vedendosela con il boom del dopoguerra e la necessità di alloggiare a poco prezzo una popolazione in espansione: case popolari dall’architettura che definisce l’epoca in cui vennero costruite, e le aspirazioni di vita per le classi lavoratrici che avevano i dipartimenti governativi predisposti ad occuparsi di questa emergenza.
La pianificazione ad Hong Kong dunque ha voluto, ormai per decenni, costruire nuove città provviste di tutto e molto ben collegate con servizi di autobus e, dagli anni Ottanta, un servizio di metropolitana in costante espansione. L’utilizzo di mezzi privati, infatti, continua ad essere scoraggiato, in particolare con costi proibitivi per i parcheggi (un posto per parcheggio privato in città può costare fino a mille euro al mese d’affitto, o intorno ai centomila euro all’acquisto), una lunga trafila di almeno un anno per ottenere la patente di guida, e un servizio di trasporto pubblico abbordabile e efficiente, che consiste di autobus, tram e minibus, traghetti, metropolitana, treni urbani, e taxi. Nel 2019 le auto a Hong Kong erano circa 850mila – un numero molto inferiore a quelle di Londra, per esempio, che ha 2.5 milioni di auto per meno di 9 milioni di abitanti, o ancor più di quello di New York, dove 8.5 milioni di abitanti posseggono 4.8 milioni di automobili. Tutto questo ha creato una serie di ecosistemi diversi a seconda che ci si trovi nelle baie tutt’ora isolate, dove animali rari o in pericolo continuano a trovare punti di rifugio, o in centri urbani interamente dediti al commercio, o in aree dove gli acquitrini e le mangrovie garantiscono protezione dall’innalzamento delle acque e grande diversità naturale.
Se il passato di Hong Kong cercava di ottimizzare una città verde per scelta e per difficoltà morfologiche con le necessità di una popolazione in espansione, sempre più dedita ai servizi (dagli anni Ottanta in poi la maggior parte della produttività di Hong Kong si è spostata verso la Cina continentale, contribuendo in modo decisivo al miracolo manifatturiero del Guangdong ma mantenendo a Hong Kong la logistica e i trasporti, grazie al suo porto, e la finanza, e mille altri servizi legati all’essere la porta internazionale della Cina) il presente e in particolare il futuro devono tenere conto sempre più del volere di Pechino.
Questo per esempio si può vedere in almeno due progetti – uno già realizzato e l’altro ancora in fase di pianificazione – che hanno suscitato enorme opposizione, ma che ora, man mano che la riforma politica toglie a Hong Kong lo spazio per un’opposizione legale, non incontrano più nemmeno il minimo scrutinio necessario.
La prima di queste grandi opere è rappresentata dal ponte che collega Hong Kong a Macao e Zhuhai, un ponte lungo 55 chilometri completato nel 2018 e costato 18.8 miliardi di dollari Usa, che consente di raggiungere Zhuhai in circa 50 minuti. Il ponte, il più lungo al mondo, comprende quattro isole artificiali, due tunnel e un sistema di cavi in acciaio per sostenerne alcune porzioni: malgrado tutti i primati però, è scarsamente utilizzato, sia per la difficoltà per ottenere i permessi e l’assicurazione necessari, sia perché è stato aperto poco in un’epoca poco propizia (fra le proteste del 2019 e i due anni di pandemia subito dopo). L’altro progetto è molto più controverso, ma le principali organizzazioni che spingevano affinché fosse cancellato, o almeno ridimensionato in maniera significativa, si ritrovano a rischio di illegalità dopo l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale nel giugno del 2020. Si tratta dell’East Lantau Metropolis Project, anche noto come l’East Lantau Tomorrow Vision, un progetto per un’isola artificiale, riportata dal mare e collegata con ogni tipo di mezzo pubblico alle isole di Lantau e di Hong Kong, sufficientemente grande per ospitare fino a un milione di persone.
I rischi ecologici legati a questo progetto sono significativi, sia per l’enorme utilizzo di sabbia che comporta (e lungo le coste asiatiche la fame di sabbia della Cina, dopo decadi di boom edilizio, ha portato a un deterioramento allarmante degli ecosistemi costieri) che per il modo in cui rischia di compromettere in maniera definitiva gli habitat di alcune specie protette, per non parlare del rischio portato dall’innalzarsi del livello del mare, e la scarsa utilità del progetto, per una città con una popolazione stabile, forse in leggera diminuzione a causa di una bassa natalità.
Al momento però Hong Kong si ritrova al centro di una serie di iniziative che non sono sottoposte a un vaglio democratico: non solo per quanto riguarda i progetti ingegneristici ma anche per la sua posizione esistenziale. L’ultima di queste iniziative è la Greater Bay Area (GBA), un progetto di grande respiro che prevede la creazione di un polo urbano, industriale, tecnologico e di servizi intorno ad un’area che va da Hong Kong a Macao, ma che comprende anche le nove città di Guangzhou, Shenzhen, Zhuhai, Foshan, Huizhou, Dongguan, Zhongshan, Jiangmen, e Zhaoqing, per un totale di 86 milioni di persone. La GBA, secondo il progetto pensato dal governo centrale, avrebbe sia lo scopo di creare sinergie per lo sviluppo che quello di integrare il più possibile la regione, impedendo dunque il ripetersi di momenti di sfida come si sono visti nel 2019 a Hong Kong. Per quanto alcuni degli elementi più concreti della forma che assumerà questo progetto (ammesso che possa svilupparsi come previsto) siano ancora poco chiari, già da ora le università di Hong Kong stanno costruendo campus all’interno della GBA che dovrebbero portare a un’integrazione educativa dalla quale Hong Kong avrebbe poco da guadagnare.
Questi scossoni politici, strettamente legati allo stile governativo introdotto dieci anni fa dal Presidente cinese Xi Jinping, e dalla sua determinazione ad assimilare ed incorporare in una Cina sempre più uniforme tutte le zone di frontiera meno soddisfatte dell’essere governate da Pechino con scarsa voce in capitolo, arrivano in un momento in cui lo sviluppo organico di Hong Kong stava procedendo per una via opposta. Quest’anno infatti si assisterà all’apertura del nuovo Museo d’arte moderna di Hong Kong, chiamato M+, il primo museo di questo tipo in tutta l’Asia, con l’ambizione di essere il polo culturale di riferimento per l’arte contemporanea dell’intera regione. Istituzioni quali l’Asia Art Archive avevano già da tempo individuato Hong Kong come la città più libera e più cosmopolita dell’Asia orientale, e si ritrovano ora a cercare di capire quanto, e come, il loro lavoro possa continuare come prima, mentre Pechino sembra intenta a voler rifare Hong Kong a sua immagine.
Le scelte locali cominciano ad essere limitate sia che si tratti di curriculum universitari o scolastici, sia che si tratti di stabilire in che modo gestire la pandemia: Hong Kong ha infatti saputo mantenere sotto controllo l’espandersi del virus, con 212 morti dall’inizio della pandemia, e circa 1200 casi, molti dei quali importati. Ma l’imposizione della strategia dello “Zero Covid” (già messa in atto in Cina) fa sì che una città che è sempre vissuta nell’apertura mentale e geografica si ritrova ora con una strategia di frontiere chiuse dalla quale non è chiaro come potrà uscire. Il sistema di quarantena di Hong Kong per i viaggiatori provenienti dall’estero – che siano vaccinati o meno, e che siano residenti o meno – è il più severo al mondo, e prevede 21 giorni di isolamento in una stanza d’albergo. Dopo più di un anno di questo regime, molti gruppi finanziari ed industriali internazionali stanno cominciando a fare le valige, chiedendosi se la nuova Hong Kong continui a valere la pena.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
Covid, cosa è successo davvero a Wuhan? – L’inchiesta [Parte 1]
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A quasi due anni dall’inizio della pandemia che ha modificato il nostro mondo, restano ancora aperti e apparentemente insolubili gli interrogativi su come, e dove, abbia avuto origine il virus alla base di tutto ciò. Il poco che si sa è confuso, e continua ad essere più una serie di ipotesi di lavoro che di piste percorribili. Questo, perché i ripetuti tentativi di approfondire la questione sono caduti in un buco nero intriso di sensibilità politiche difficili da eliminare. La Cina, fin dall’esplodere della pandemia, è stata comprensibilmente restia all’essere incolpata in modo diretto, e ha reagito sbarrando la porta. E molti organismi internazionali, e primo fra tutti l’Organizzazione mondiale della sanità, non hanno voluto precludersi la possibilità di future indagini compiacendo l’estrema sensibilità cinese. Da tutto questo sono nati dubbi, complottismi, e una frustrazione che perdura.
Non è la prima volta che l’istinto primordiale verso la segretezza del Partito comunista cinese aumenta i sospetti nei confronti del suo operato, ma è bene evitare di trarre rapide conclusioni sulle origini della pandemia da questa caratteristica. È vero che sia i gruppi di esperti medici che le missioni dell’Organizzazione mondiale della sanità che sono andate in Cina con l’intenzione di fare luce sulle origini di questo disastro sanitario sono tornate indietro con poco di fatto, lasciando ampio spazio alle illazioni di chi già non era incline a fidarsi del governo cinese. Le abitudini barocche della diplomazia Onu, e dei suoi dipartimenti, hanno solo aumentato tale diffidenza, fra frustranti silenzi, veti cinesi, e mezze risposte a quesiti urgenti. Ma invece di interpretare tali mancanze come il segnale di un insabbiamento colpevole di un esperimento di laboratorio sfuggito al controllo degli scienziati, per esempio, o di un virus creato ad hoc per motivi militari o strategici, va guardata più da vicino la Cina, e il suo modo di distribuire informazioni.
L’origine del virus
Finora, l’accusa volta a Pechino è quella di insufficiente trasparenza. Un’accusa che si è andata rafforzando davanti al modo in cui il Paese ha precluso l’accesso alla città di Wuhan, al mercato dove si pensa abbia avuto origine il virus che sta causando la pandemia, e all’Istituto di Virologia di Wuhan, un istituto ad alta sicurezza dove vengono studiati patogeni presenti in natura che possono contaminare gli esseri umani. Qui è anche dove sono stati fatti i primi test che hanno confermato l’esistenza del Covid-19. A complicare le cose, per chi è portato a vedere complotti ovunque, è l’esistenza di un centro di ricerca sul Coronavirus proprio all’interno dell’Istituto di Virologia di Wuhan, diretto dalla scienziata Shi Zhengli. Shi stessa, come del resto tutta la sua squadra, è risultata sieronegativa al Covid-19 nel marzo del 2020, rendendo ancora più improbabile dunque la teoria di una “fuga di laboratorio” del virus dall’Istituto al resto del mondo, nel corso di un errore di maneggiamento – che non potrebbe non aver contagiato almeno uno degli addetti al laboratorio.
Ma se la tendenza alla segretezza è aumentata in modo significativo con l’arrivo di Xi Jinping al potere, non si tratta pertanto di una novità assoluta.
Lo stesso era già accaduto nell’inverno del 2002-2003, quando esplose l’epidemia di SARS, probabilmente a Guangzhou o nei suoi dintorni, e che portò a 774 decessi: a quell’epoca la Cina era più libera di quanto non sia oggi, e il gruppo mediatico Guangzhou Zhoukan, famoso per le sue inchieste approfondite e coraggiose, venne punito anche per la sua volontà di fare luce su quanto avvenuto in quella circostanza – su come si era diffuso il virus, quante fossero le vittime, e se c’erano state delle coperture. Oggi, i periodici del gruppo Zhoukan sono stati domati, e le loro inchieste non riportano altro che quanto pre-approvato a livello centrale. Da notare che è stata proprio Shi Zhengli, nel laboratorio di Wuhan guardato con sospetto da più parti, a dimostrare che la SARS del 2002 ebbe un’origine animale, ovvero, che il virus sarebbe mutato e saltato da pipistrelli all’uomo. Si tratta della teoria detta dello spillover, che è la stessa su cui molti stanno ora indagando anche per il Covid-19 – e di nuovo, molti scienziati che cercano di capire come questo virus abbia potuto apparire “dal nulla” e attaccare il sistema respiratorio umano stanno guardando a un possibile contagio avvenuto tramite contatto con pipistrelli.
La connessione fra le ricerche del laboratorio e il Covid proverrebbe da altri studi portati avanti all’interno di alcune grotte nei dintorni di Wuhan, popolate da pipistrelli, e dalla scoperta che questi siano dei “contenitori di coronavirus” che potrebbero, per l’appunto, saltare dai pipistrelli agli umani. Nulla però porta a pensare con serietà che queste ricerche abbiano effettivamente “risvegliato” dei virus latenti, favorendone la fuga e il salto dai pipistrelli all’uomo.
Se pensiamo al modo in cui la stampa estera è stata aggredita nello Henan nel mese di agosto, dopo le violente inondazioni che hanno colpito la regione, e alle scarse informazioni che si hanno su quel disastro naturale, capiamo che ogni notizia, in particolare negativa, è trattata come qualcosa da pilotare dall’alto – e come il resto del mondo interpreta il ruolo della stampa non interessa affatto il regime cinese. La stampa nazionale, infatti, è interamente sottoposta al controllo statale, e ha il ruolo di formare e orientare l’opinione pubblica. Non quello di aiutare i cittadini a scoprire possibili carenze ufficiali, o giocare un ruolo da quarto potere a cui questa ambisce in regimi politici dotati di libertà di stampa.
La mancanza di trasparenza dunque non è la prova di una copertura di un atto criminale, o di quella “fuga di laboratorio” di cui hanno parlato i commentatori più inclini alle teorie torbide. Quanto sappiamo dunque su quello che è successo, e quali sono gli indizi su cui possiamo lavorare per ricostruire in che modo questa tragedia si è abbattuta sul pianeta?
A tutt’oggi, tutto punta a Wuhan: una città di più 11 milioni di abitanti, solcata dai fiumi Han e Yangtse. È un famoso polo della produzione automobilistica, ma la stampa internazionale se ne occupò in particolar modo nel 1998, quando la città era stata colpita da violente inondazioni, che costarono la vita a più di 4000 persone. Già allora, i tentativi di informare su quanto era avvenuto si scontrarono con l’immediata chiusura alla stampa estera dei dintorni alluvionati della città – mentre alla stampa statale venne ordinato di diffondere solo le cifre distribuite da Xinhua (l’agenzia di stampa cinese Nuova Cina). Insomma, nulla di nuovo nel ricorso alla segretezza, ma il riapparire di un istinto consolidato.
I mercati a Wuhan e la vendita di animali
Come quasi tutte le città asiatiche, Wuhan ha diversi mercati all’aperto di prodotti freschi – che si tratti di frutta e verdura o di carne e altri prodotti. Di nuovo, vediamo come alcuni cambiamenti siano stati introdotti in seguito allo scoppio della SARS nel 2003: dopo quella data infatti molti mercati in Cina e a Hong Kong hanno smesso di vendere animali vivi o di uccidere polli, conigli o altri animali commestibili davanti agli occhi dei clienti. Si trattò di una decisione molto combattuta, dal momento che per molta cucina cinese la freschezza assoluta degli alimenti è considerata della massima importanza, intendendo con “freschezza” animali appena macellati. Ma il rischio di contaminazione da animali vivi è stato reputato eccessivo, e oggi in molti mercati della regione dei grossi frigoriferi sostituiscono le gabbie con gli animali ancora vivi, per quanto molti clienti siano ancora restii ad accettare quest’idea. Così, a quanto sembra, alcuni dei venditori di uno dei mercati di Wuhan, il Mercato del Pesce di Huahan (quello connesso ad alcune delle prime infezioni da Covid-19, distante circa 19 chilometri dal laboratorio dell’Istituto di Virologia di Wuhan) ignoravano il regolamento, e vendevano sotto banco animali vivi, incluso specie protette.
Secondo studi pubblicati in giugno, infatti, Huanan sarebbe stato uno dei quattro mercati dove veniva venduta carne di animali selvatici, o dove gli stessi animali erano venduti vivi per essere macellati dall’acquirente. Fra questi, anche gatti civetta e procioni, due degli animali che hanno potuto servire da intermediario fra i pipistrelli e gli esseri umani, e da cui si pensa dunque che la SARS abbia potuto fare un salto di specie. Fra le specie in vendita nei mercati di Wuhan sono state trovate almeno 31 specie protette, secondo quanto pubblicato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Nanchong.
Inoltre, il mercato di Huahan sarebbe l’epicentro del primo episodio di superspreader – ovvero, di diverse persone che hanno contratto il virus e che frequentavano il mercato. Se i due possibili poli dello sviluppo del virus sono oggi facilmente identificabili, il problema nel cercare di analizzare più da vicino studiando la sequenza genetica del virus, per esempio, e cercando di paragonarla ad altri esemplari per poterne studiare la mutazione, si scontra con la segretezza di cui abbiamo parlato sopra. Pechino ha consentito agli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità una permanenza di qualche ora al laboratorio, e appena di un’ora al mercato.
A dare maggior peso all’ipotesi del mercato è anche stata la conferma che alcuni animali selvatici in vendita a Huahan si sono rivelati positivi al coronavirus, facendo pensare che fossero entrati in contatto con un qualcuno di contaminato – un altro animale, o un lavoratore legato al mercato?
A dare meno credito alla teoria complottista c’è il fatto che molti dei virus più gravi con cui l’umanità ha dovuto fare i conti nell’ultimo secolo provenivano proprio da animali: oltre alla SARS, anche la MERS-CoV, esplosa in Medio Oriente e con probabile origine nei cammelli, Ebola, proveniente forse da pipistrelli, forse da altri animali selvatici. Non solo: il microbiologo statunitense Robert Garry, dell’Università di Tulane, ha studiato con attenzione la distribuzione geografica dei primi casi di Covid conclamati, trovando una serie di grappoli di contagio proprio intorno al mercato Huahan, ma assolutamente nessun caso nei dintorni dell’Istituto di Virologia.
Fra tutte, dunque, quella del mercato e del consumo illecito di selvaggina o di animali rari con potenziale “salto” del virus da una specie animale alla nostra continua a sembrare la più convincente, anche guardando, per così dire, ai precedenti storici.
La riluttanza cinese nel dare accesso alle prime sequenze del virus ritrovate nella città di Wuhan nel dicembre 2019, e a lasciare che i ricercatori si muovano liberamente per Wuhan, il mercato, gli ospedali e il laboratorio di ricerca fanno sì che ricostruire con certezza quanto avvenuto, e cercare di trarne importanti lezioni per il futuro è di notevole difficoltà. Ma nulla di questo prova che si sia davanti a una copertura ufficiale ma piuttosto, che ci si trovi davanti alla Cina e alla sua chiusura sul resto del mondo. Le informazioni disponibili al momento sono queste. Non è da escludere che un numero maggiore di ricercatori possa in futuro avere più elementi per completare il quadro, e che questo possa apparire in parte diverso da quello che è stato possibile ricostruire finora, ma questa è un’ipotesi per il futuro. Gli elementi attuali fanno pensare che ad averci messi nei guai una volta di più sia la nostra relazione con gli animali selvatici, anche quelli che dovrebbero essere specie protette – una relazione utilitaria che è forse più diffusa in certi luoghi della Cina che non altrove, ma che non è certo del tutto assente nel resto del mondo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
Miti e leggende sulla Cina e non solo
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Un gruppo di elefanti ha incantato la Cina
VERO
Si tratta di un gruppo di quindici elefanti fuggito da una riserva naturale nella provincia meridionale dello Yunnan, che, dopo essere stati ripresi da centinaia di telecamere a circuito chiuso mentre passeggiano per campi e città lasciando una certa devastazione al loro passaggio, sono diventati le star del web cinese di questa primavera. Gli elefanti hanno suscitato un entusiasmo senza freni, e per una volta le autorità hanno deciso di seguire questo fenomeno senza censura. Secondo gli scienziati i pachidermi avrebbero lasciato la riserva per motivi legati al cambiamento climatico e al restringersi del loro habitat, ma la loro fuga e le loro passeggiate stanno rinfrescando la passione per una natura meno controllata fra milioni di cinesi che osservano online il loro progresso.
Taiwan può ottenere vaccini dalla Cina
FALSO
La volontà di Pechino di affermare la sua sovranità su Taiwan – isola indipendente a tutti gli effetti e che non è mai stata parte della Repubblica popolare cinese – si è estesa anche ai vaccini contro il coronavirus. Pechino avrebbe infatti bloccato la vendita di vaccini da parte di aziende internazionali, fra cui Pfizer, se queste non accettano di passare dalla Cina, portando dunque a notevoli rallentamenti, sia per motivi logistici che, soprattutto, politici. Per sfuggire all’imposizione cinese, dunque, Taipei ha dovuto contare sulla solidarietà dei Paesi alleati, fra cui il Giappone e gli Stati Uniti, che hanno spedito a Taiwan milioni di dosi di vaccini malgrado gli strali lanciati da Pechino.
La Cina sarà il maggior raffinatore di petrolio quest’anno
VERO
Secondo l’EIA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la Cina quest’anno sarà il Paese maggior raffinatore di petrolio, dopo che la pandemia ha portato molte raffinerie negli Stati Uniti a ridurre la loro capacità. Pechino ha deciso di aumentarla. La Cina, per quanto impegnata a diversificare le sue fonti di energia, continua ad espandere il consumo di combustibili fossili, in particolare per la produzione di plastica e prodotti petrolchimici. Da sei anni, inoltre, le “teiere” cinesi (il nome delle raffinerie cinesi private) possono importare petrolio non raffinato, e hanno messo a punto strategie per essere competitive sul mercato nazionale. La Cina raffina 17.5 milioni di barili al giorno, ma dovrebbe arrivare a 20 nei prossimi anni.
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Hong Kong, Giappone, Corea del Nord: cosa succede in Asia
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Hong Kong: un anno di sicurezza nazionale
Dopo appena un anno dall’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, imposta da Pechino scavalcando il Consiglio legislativo locale, il territorio è profondamente cambiato. La maggior parte dei leader dell’opposizione democratica sono o in prigione o in esilio – in particolare dopo il raid del 6 gennaio di quest’anno, quando sono stati arrestati 47 membri di partiti pro-democrazia, accusati di tentata sovversione per aver organizzato delle elezioni primarie (le elezioni sono state cancellate, ma potrebbero tenersi alla fine di quest’anno). Il quotidiano Apple Daily, uno dei principali giornali di Hong Kong e l’unico cartaceo interamente indipendente del territorio, è stato costretto alla chiusura, dopo l’arresto dei direttori del giornale, del suo fondatore Jimmy Lai, e della confisca dei beni dell’azienda. Apple Daily era da tempo il quotidiano di Hong Kong più inviso a Pechino, per la sua irriverenza, per le frequenti vignette satiriche che ridicolizzavano la dirigenza cinese e quella di Hong Kong, e per il suo costante sostegno per le lotte pro-democrazia a Hong Kong e nella Cina continentale. L’accusa con cui i beni dell’azienda sono stati congelati, però, è quella di “collusione con forze estere”, a causa di diversi editoriali pubblicati dal 2019 in poi, in cui gli autori chiedono l’imposizione di sanzioni internazionali contro politici cinesi e di Hong Kong. L’ultimo numero del quotidiano è uscito il 24 giugno: un milione di copie, che sono andate esaurite in poche ore, dopo che migliaia di cittadini hanno fatto la coda tutta la notte per dare l’addio al giornale più libero della ex-Colonia britannica.
Oltre alla chiusura di Apple Daily, e agli arresti, Hong Kong ha anche visto l’imposizione di un nuovo curriculum patriottico nelle scuole, l’istituzione di un tribunale a parte per i casi di sicurezza nazionale, un nuovo sistema di censura cinematografica, il ritiro di molti volumi dalle biblioteche pubbliche, per le loro posizioni considerate anti-patriottiche, e la cancellazione di molti programmi radiotelevisivi del servizio pubblico, RTHK.
Voto: 4 alla legge sulla sicurezza nazionale e 10 a Jimmy Lai.
Cina: i ragazzi si “sdraiano” e i censori aboliscono la parola
Gli iperattivi censori dell’internet cinese hanno trovato un nuovo nemico da eliminare: “tangping” o “sdraiarsi”. Il termine dall’aspetto innocuo è ora slang per indicare il rifiuto di una società divenuta eccessivamente competitiva e stressante, nella quale avanza solo chi proviene da famiglie privilegiate. Il nuovo connotato della parola è attribuito a un ragazzo di 24 anni, Wang di cognome, che aveva messo online una foto di sé stesso facendo la siesta, dicendo di aver passato quattro mesi a spedire curriculum a tutti per non ricevere risposta, e di voler lasciar perdere, “sdraiarsi” e godersi la vita, accontentandosi di un lavoro non prestigioso. Divenuta presto un tormentone, la parola – e le immagini di giovani addormentati sui social cinesi − ha inquietato i censori, che hanno deciso che questo “disfattismo” sia in contraddizione con la raccomandazione del Presidente cinese e segretario generale del partito di “rimboccarsi le maniche e lavorare sodo”. Xinhua ha pubblicato un articolo e dei video che rifiutano “il concetto dello sdraiarsi” definito come “estremamente irresponsabile e deludente per i propri genitori e milioni di contribuenti cinesi”, e la parola ora blocca i motori di ricerca.
Voto: 10 a “sdraiarsi”.
Corea del Nord: la lettera di Kim Jong-un alle donne
Il leader nordcoreano Kim Jong-un non si è recato al Settimo Congresso dell’Unione socialista delle donne coreane, ma ha inviato una lettera a tutte le donne della nazione, che è stata letta da un funzionario del Partito dei Lavoratori, con le sue raccomandazioni. Che sembrano essere poco rivoluzionarie o socialiste: le donne devono fare più figli, scrivere lettere di incoraggiamento ai soldati nazionali e cantare canzoni rincuoranti a chi lavora nei cantieri, vestirsi con colori allegri e non di nero, e soprattutto non lasciarsi corrompere da film stranieri illegalmente arrivati in Corea del Nord e da stili di vita decadenti, da cui devono essere protetti anche i bambini. Da alcuni anni infatti molti coreani del Nord riescono ad avere accesso a film e canzoni prodotti al Sud, tramite flash drives che possono però costare fino a 15 anni di lavori forzati se vengono scoperti. Anche chi non li possiede può essere però influenzato da alcune mode linguistiche o di abbigliamento, che Kim vorrebbe dunque contrastare con questo richiamo a una femminilità sottomessa e al servizio di uomini e figli.
Voto: 1. Kim è completamente pazzo!
Giappone: il Ministero della Solitudine
Il Governo giapponese, che da diversi anni vuole dare maggiore importanza alla salute mentale, ha cominciato a mettere in pratica alcune delle politiche che erano rimaste finora solo sulla carta volte ad affrontare i problemi legati alla depressione e all’ansia e a diminuire il numero dei suicidi.
Dopo aver nominato lo scorso febbraio un Ministro della Solitudine, Tetsushi Sakamoto, per occuparsi in particolare della crescita di casi di isolamento e ansietà in conseguenza della pandemia, il Ministero della Salute, lavoro e welfare (raggruppati in Giappone sotto un’unica istituzione) ha reso noto di aver raddoppiato il numero di casi di compensazione monetaria per lavoratori la cui salute mentale è stata messa a repentaglio sul luogo di lavoro. La metà dei casi compensati dal ministero riguarda episodi di bullismo da parte di superiori, mentre gli altri riguardano casi di trauma mentale dovuto ad incidenti o disastri sul lavoro, e infine casi di aggressione o bullismo da parte di colleghi. Il Governo ha dunque compensato quasi mille lavoratori per l’anno 2020, e aumentato il numero di campagne informative e all’interno delle aziende per preservare la salute mentale sul lavoro.
Voto: 6 alle autorità nipponiche: hanno individuato un problema gravissimo (la solitudine post pandemica) ma non sono sicuro che un Ministro della Solitudine sia la soluzione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
Cina: miti e leggende
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Le relazioni fra studenti e professori sono illegali in Cina
FALSO
Pechino sta considerando per la prima volta di varare una legge che renda illegali le relazioni intime fra studenti e insegnanti – non solo professori universitari ma anche insegnanti delle elementari e del liceo. Al momento, le relazioni sessuali sono reputate “consenzienti” dopo i 14 anni, ma la proposta di legge renderebbe illegali le relazioni fra studenti e insegnanti anche se lo studente ha 14 anni. La proposta, ancora in discussione, fa parte di una serie di leggi che potrebbero essere approvate il prossimo anno per eliminare quella che è stata descritta dalla stampa nazionale come una “epidemia di molestie sessuali” di cui sono vittime particolarmente le donne e le ragazze.
Le tensioni fra Cina e Usa non saranno eliminate dall’amministrazione Biden
VERO
La nuova amministrazione Usa vuole affrontare le questioni che coinvolgono la Cina in maniera più frammentaria – un approccio à la carte per cooperare o competere a seconda delle tematiche da trattare. La speranza di Washington è che ci possa essere cooperazione sulle politiche ecologiche (per ora molto scarsa) per fronteggiare il cambiamento climatico, un tema in cui esistono interessi comuni. Ma come a sottolineare che la nuova amministrazione non diminuirà la pressione su Pechino rispetto a quella Trump, ecco che Biden ha inviato John Kerry a Shanghai, per discutere di clima, e una delegazione a Taipei per innalzare il livello dei contatti con l’isola autogovernata ma rivendicata dalla Cina. La diffidenza cinese è assicurata.
Il boicottaggio del cotone del Xinjiang danneggia la Cina
FALSO
Crescono i motivi di discordia fra la Cina e il resto del mondo, e aumenta il numero di aziende che devono decidere se essere presenti in Cina, o altrove, in particolare nei Paesi democratici. Lo si vede con la decisione di diversi marchi internazionali di rassicurare la loro clientela occidentale dichiarando di non voler più utilizzare cotone proveniente dal Xinjiang, dopo che le associazioni dei diritti umani hanno documentato che questo sia raccolto anche da prigionieri uiguri. Una campagna propagandistica cinese sta portando i consumatori cinesi a preferire un consumo “patriottico” che premia le aziende nazionali, che dichiarano di usare solo cotone del Xinjiang. Le vendite di Anta e Li Ning, produttori di abbigliamento sportivo, sono cresciute del 20 e del 23% rispettivamente.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Ultime notizie dalla Cina, e non solo…
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Cina: il centenario del Pcc
Il 23 luglio la Cina festeggerà il centesimo anniversario dalla fondazione del Partito comunista cinese (Pcc), istituito a Shanghai da un gruppo all’epoca clandestino e divenuto negli anni il Partito comunista più longevo e di successo della storia. La preparazione a questo evento si sta portando avanti con le tecniche un po’ ossessive care al Partito stesso ovvero, con una propaganda sempre più intensa e martellante, e che cerca soprattutto di garantire l’appoggio delle “masse popolari” (per usare termini da Partito comunista) affinché il futuro del Partito stesso resti solido. Così, a tutte le televisioni nazionali e alle sale cinematografiche è stata ordinata una quota minima di film patriottici e agiografici del Partito e della sua storia, mentre le città cinesi sono ora tappezzate di striscioni rossi che riportano gli slogan di propaganda che tutti devono prepararsi a tenere a mente. Per quanto ne sappiamo finora, l’evento non sarà commemorato da una parata militare, ma da una celebrazione a cui presiederà Xi Jinping, Segretario Generale del Partito e Presidente cinese. La storia del Pcc è ora stata introdotta in tutte le scuole elementari come materia obbligatoria. Vari progetti editoriali hanno rivisitato questa stessa storia, smussando gli spigoli e le catastrofi (dal Grande Salto in Avanti degli anni Cinquanta, alla tragedia della Rivoluzione Culturale, nonché, ovviamente, la cancellazione completa di quanto avvenne a Pechino ed in altre città cinesi nel 1989, quando le truppe militari spensero nel sangue le proteste studentesche). Per mantenere il massimo controllo sull’immagine del Partito, inoltre, è stato lanciato un numero verde che consente ad anonimi di denunciare chiunque critichi il Pcc e i “nichilisti storici” – termine con cui è definito in Cina chi mette in dubbio la versione ufficiale della storia del Partito. La notifica della hotline è stata data incoraggiando gli utenti a “prendere parte nella sorveglianza della società, e a denunciare con entusiasmo le informazioni nocive.”
Voto: Zero alla hotline per le denunce. Un provvedimento da Gestapo!
Natalità ai minimi in Asia orientale
L’intera Asia orientale (intesa come Giappone, Corea, Cina, Hong Kong e Taiwan) è entrata in un’era di declino delle nascite, per la prima volta da quando i dati sono divenuti disponibili. La pandemia, inoltre, che secondo alcuni avrebbe potuto portare a un baby boom dovuto al maggior tempo trascorso a casa, sta invece producendo il contrario, con meno gravidanze rispetto allo scorso anno. Il primo Paese ad aver registrato questa tendenza è il Giappone, dove il calo delle nascite è iniziato negli anni Ottanta, ma il declino nel resto dell’area è in anticipo di circa dieci anni rispetto alle previsioni. La popolazione della Corea del Sud è diminuita di 32.700 persone nel 2020, Taiwan di 7.900 e Hong Kong di 6.700. Si tratta di un calo delle nascite del 10%, 7% e 18.5% rispettivamente. In Cina, le nascite sono calate del 15% – un dato che ha portato alcuni demografi nel Paese a suggerire di cessare ogni controllo della popolazione, ed eliminare il tetto massimo di due figli per coppia attualmente in vigore. Guardando all’intera regione, il declino delle nascite appare molto più rapido e drastico di quanto non si sia visto in Giappone negli ultimi quarant’anni, con potenziali ripercussioni economiche e sociali di grande impatto.
Voto: 7 all’autodisciplina dei Paesi del Far East. Siamo già troppi in 7 miliardi e dobbiamo trovare un punto di equilibrio anche per una crescita sostenibile delle nascite.
Corea del Sud: 10 miliardi di hallyu
L’inarrestabile successo della cultura popolare sudcoreana sta avendo un impatto crescente sull’economia del Paese dove “l’Onda Coreana”, o hallyu, iniziata nel 1999, ha generato 10 miliardi di fatturato nel solo 2020. Nel 2018 le importazioni culturali (libri, cinema e programmi televisivi, videogames, fumetti, musica, eccetera) dagli Stati Uniti alla Corea erano di 1.2 miliardi di dollari Usa, mentre le esportazioni in direzione inversa erano di 9.6 miliardi. La Corea del Sud è uno dei pochi Paesi al mondo ad avere una politica governativa centrata sull’esportazione massiccia della cultura, in un tentativo di aumentare il soft power coreano anche nei Paesi con cui le relazioni sono state storicamente più precarie – fra cui il Giappone, la Cina e gli Stati Uniti. L’esportazione di prodotti culturali della Corea del Sud verso la Corea del Nord resta quasi interamente bloccata. Ma la crescita continua ad essere notevole in particolar modo considerando che dal 2017 la Cina ha bloccato diverse esportazioni coreane per la decisione di Seul di partecipare al sistema di protezione missilistica THAAD insieme agli Usa.
Voto: 8 all’onda coreana, che prevede grandi investimenti nella cultura popolare.
Cina: il tramonto dell’ossessione del Pil
L’economia cinese registra una crescita imbizzarrita (+18% nel primo trimestre 2021) dopo il rallentamento dovuto alla pandemia del 2020, ma qualcosa sta cambiando nel Paese, con segnali che l’ossessione per il Pil potrebbe lasciare spazio a una crescita più umana e sostenibile. Quest’anno, per la prima volta nell’era delle riforme, Pechino non ha annunciato un obiettivo per la crescita del Pil, e diverse municipalità stanno cominciando a sperimentare con quello che potremmo tradurre come Pel o Prodotto Ecosistemico Lordo. Città-pilota ancora una volta è Shenzhen, che ha messo a punto un sistema per misurare l’impatto ecologico di beni e servizi commerciabili e di servizi non commerciabili come lo sviluppo di foreste e misure di protezione ambientale, e i benefici definiti “culturali e turistici” che includono la salute pubblica. I dati per queste categorie sono raccolti tramite un monitoraggio sia statistico che diretto, per essere poi sommati e produrre un numero totale percentuale. Shenzhen pubblicherà il suo primo valore Pel nel luglio del 2022, e, insieme alle altre città che partecipano al programma, vuole far crescere il Pil senza danneggiare il Pel.
Voto: 10 al PEL. Così potremo limitare anche i rischi di future pandemie…
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Cina: propaganda di Stato – L’inchiesta [Parte 2]
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Leggi anche “Russia: il veleno di Navalny – L’inchiesta [Parte 1]”.
Era il febbraio del 2016 quando il Segretario generale del Partito comunista cinese, nonché Presidente della Cina, Xi Jinping, fece una visita alle redazioni di tre organi di informazione nazionali: il Quotidiano del Popolo, l’agenzia di stampa Nuova Cina (Xinhua) e la Chinese Central Television (CCTV), la televisione di Stato nazionale. La visita, che non aveva precedenti, venne coperta come un grande evento da tutta la stampa nazionale, con l’entusiasmo che si deve mostrare quando il proprietario di casa fa una visita agli affittuari: non solo l’interezza della stampa cinese è censurata e controllata dal Governo, ma questi tre media in particolare sono direttamente sotto al Partito. Durante la visita, Xi non solo si era divertito a sedersi davanti ai microfoni di CCTV, ma era anche stato fotografato circondato da giornalisti e redattori adoranti, proprio come si farebbe con un capo capriccioso, che può licenziare da un momento all’altro e mettere davvero nei guai un lavoratore considerato insufficientemente fedele.
Una delle frasi che sono rimaste impresse nella memoria collettiva pronunciate da Xi nel corso di quella visita è che “tutta la stampa di cognome deve chiamarsi Partito” – grammaticalmente bizzarro, ma il concetto è chiarissimo a tutti. Se Xi Jinping si è mostrato molto deciso nell’aumentare il controllo su tutto – dalle Università a quello che succede a Hong Kong e Macao, passando per i libri di storia e le aziende che in teoria erano private, come Alibaba – e nel mettere sé stesso a capo di tutto, già prima del suo arrivo al potere il Partito aveva stabilito che il controllo delle informazioni era decisivo. Con Xi Jinping questa tendenza non ha fatto che aumentare. Se l’offerta sembra essere apparentemente sconfinata – fra siti web e canali televisivi, quotidiani e periodici cartacei o online – i contenuti sono invece autorizzati a muoversi all’interno di perimetri ben definiti.
La propaganda interna
Non si tratta solo di censurare, per quanto questo avvenga con abbondanza, ma anche di fornire quella che viene chiamata nel gergo della stampa cinese la “versione corretta degli eventi”. E di fare da gran cassa propagandistica: data la più recente tendenza ad accentrare tutto il potere nelle mani di Xi, ecco che anche la propaganda si ritrova a celebrarne le gesta con un’insistenza che non si era vista fin dai tempi di Mao. Molti osservatori dei media cinesi e della loro evoluzione conteggiano in modo regolare il numero di volte in cui i principali giornali riportano il nome di Xi in prima pagina, e si è, con crescente frequenza, a diverse decine di citazioni. Sulle versioni online dei giornali cinesi c’è un tasto per accedere ad articoli e materiali che consentono di “studiare il pensiero di Xi Jinping”, ma del resto qualunque pagina, forse con eccezione dello sport, ha foto e commenti di Xi riportati con la massima evidenza. Che la stampa cinese faccia Partito di cognome sembra ormai una certezza – ma di nome proprio, sempre più, sembra fare Xi Jinping.
L’ultima inchiesta pubblicata da Reportères Sans Frontières, l’organizzazione non governativa con sede in Francia che si occupa di monitorare la libertà di stampa nel mondo, ha stabilito il 20 aprile scorso che la Cina è al 177 posto per libertà di stampa: quartultima, seguita dal Turkmenistan, dalla Corea del Nord e dall’Eritrea. Che un Paese a così alto sviluppo economico possa essere a un così basso livello di libertà di stampa è chiaramente un problema. Come si è visto, per esempio, agli inizi della pandemia di Covid, i tentativi di dare l’allarme di alcuni medici di Wuhan sono stati soffocati sul nascere (e i medici sono stati prima detenuti e poi redarguiti, per quanto uno di loro, Li Wenliang, dopo essere stato detenuto ha contratto il virus ed è deceduto, per poi essere tramutato dalla stessa stampa che lo aveva zittito in un eroe nazionale).
Del resto, anche i gruppi editoriali che in passato erano riusciti a pubblicare inchieste coraggiose, e a spingersi fino ai limiti di quanto permesso, come per esempio il gruppo Nanfang Zhoumo, con sede a Guangzhou, e che era riuscito a lanciare un quotidiano nella capitale, il Beijing Ribao, hanno dovuto per così dire “rientrare nei ranghi” e, dopo innumerevoli direttive emanate dal Dipartimento della propaganda, accettare di pubblicare solo contenuti approvati. Questo non significa che non ci sia nulla di buono da leggere: Caixin, per esempio, che ha anche un’edizione limitata in inglese, è un periodico di economia e finanza che riesce, malgrado tutto, a pubblicare articoli interessanti con maggiori informazioni di quanto non ci si aspetterebbe, ma da alcuni anni si è di nuovo costretti ad allenarsi a leggere “tra le righe”, per cercare di capire quello a cui il, o la, giornalista allude, senza poterne parlare in modo aperto.
Non solo controllo della stampa interna…
Il controllo della stampa in Cina è completo – ma questo non basta. Pechino infatti, grazie anche al rispolvero ideologico del filosofo tedesco Carl Schmitt (inizialmente uno dei giuristi di Hitler, poi allontanatosi dal nazismo, ma che ha gettato le basi per un concetto di sovranità che si estende sia in senso geografico che ideale, e per aver coniato il concetto politico di “amici/nemici”, un po’ nel senso di “o con noi o contro di noi”, che limita ogni possibilità di dialogo), ha deciso che la sua sovranità sull’immagine della Cina deve essere estesa anche a quanto viene stampato altrove.
Questa è un’operazione nata prima dell’ingresso di Xi Jinping sulla scena: un documento del 2003 infatti mostrava revisioni significative agli scopi politici dell’Esercito popolare di liberazione, l’esercito cinese, con l’introduzione del concetto di una “guerriglia mediatica” che doveva diventare parte della strategia militare cinese. Otto anni dopo, questa strategia comincia a rendersi visibile.
Non solo i giornalisti che avevano ricevuto il permesso di lavorare in Cina vengono espulsi, qualora scrivano articoli dei quali il Governo e il Partito non sono soddisfatti, ma da alcuni anni ormai si assiste anche ad un’espansione globale dei mezzi di stampa cinesi, che portano avanti lo scopo dichiarato di Xi di “raccontare bene la storia della Cina” (intesa come racconto, non come storia antica). I quali, ricordiamo, non sono imprese commerciali come possono esserlo alcuni mezzi di stampa internazionali con edizioni in varie lingue (come la CNN) o servizi pubblici indipendenti (come la BBC), bensì un’estensione del Partito comunista. Così la Cina, tramite Xinhua, oggi fornisce notizie a molti Paesi internazionali – fra i quali l’Italia stessa, tramite l’agenzia nazionale di stampa Ansa, che ha una partnership con Xinhua che si occupa dell’interezza delle notizie della sezione Dalla Cina – date senza specificare che si tratta di un’agenzia di Partito.
Ma dall’Africa all’Australia, l’espansione dei media cinesi si estende a tutto il globo. La radio cinese, in diverse lingue, è presente in tutti i Paesi africani, e la Cina può usufruire delle leggi dei Paesi aperti, per lo più democrazie, che consentono a interessi stranieri di acquisire percentuali dei mezzi di stampa nazionali. Che si tratti del quotidiano Soleil senegalese o dell’interezza della stampa in lingua cinese australiana, con l’eccezione di un solo quotidiano. Nel 2009, un anno dopo le Olimpiadi di Pechino, quando le autorità cinesi erano ancora furiose per la parte di copertura giornalistica che era stata considerata negativa, la Cina annunciò di voler spendere 6.6 miliardi di dollari Usa per espandere la sua presenza mediatica internazionale. La televisione cinese ha aperto un canale in Africa – CCTV Africa, oggi chiamata CGTN Africa, da China Global Television Network – e ha anche canali in francese, spagnolo, arabo e russo.
Le operazioni europee, però, procedono meno bene: la sede europea di CGTN era a Londra, fin quando il servizio regolatore delle comunicazioni, Ofcom, ha reputato che fosse necessario revocare la licenza data alla CGTN di trasmettere dal Paese. Questo, dopo una protesta formale fatta dalle vittime delle confessioni forzate teletrasmesse e dai loro familiari, in cui veniva dichiarato che trasmettere confessioni forzate di prigionieri in attesa di processo smentisce la velleità giornalistica della rete televisiva, e ne dimostra la natura di organo di Stato. Questo è stato riconosciuto da Ofcom, e la CGTN sta ora spostando le sue operazioni a Parigi, dove la legge è diversa (e dove i prerequisiti per trasmettere dalla Francia sono utilizzare un satellite francese e trasmettere da suolo francese, per quanto altre leggi governino l’accettabilità di alcune trasmissioni). Ma le denunce sono spiccate anche a Parigi, e non è ancora chiaro quale sarà il futuro della CGTN in Europa.
Il caso di Hong Kong
Poi, c’è il caso di Hong Kong: il modo in cui la Cina ha deciso di controllare la stampa e l’editoria nella ex colonia britannica illustra al meglio come le cose sono cambiate in Cina, e come anni di azioni meno decisive sono ora stati sostituiti dalle maniere forti su tutta la linea.
La stampa di Hong Kong, malgrado l’occasionale censura di epoca coloniale, è sempre stata in netta contrapposizione con quanto avveniva in Cina, e anche è servita sia come osservatorio internazionale per seguire gli avvenimenti e gli sviluppi della politica cinese nei periodi in cui la Cina si rendeva scarsamente accessibile al resto del mondo, sia come terreno di riflessione e dibattito per la diaspora e il dissenso cinese. Ma con la crescita economica, le cose sono andate cambiando in fretta: Pechino ormai aveva il potere di imporre a chi voleva fare affari con la Cina di non fare pubblicità su periodici o quotidiani che si ponessero in opposizione con il Partito. Così, molti investitori che avevano spostato da Hong Kong alla Cina le loro fabbriche sapevano di non poter fare pubblicità sul settimanale più venduto di Hong Kong, Next Magazine, o sul quotidiano più popolare di Hong Kong, l’Apple Daily, entrambi fondati dall’imprenditore Jimmy Lai, uno nel 1990 e l’altro nel 1995.
Negli anni Novanta, mentre Pechino si apprestava a riprendere il controllo su Hong Kong (con il passaggio di sovranità dalla Gran Bretagna alla Cina avvenuto nel luglio del 1997) e l’economia cinese aveva consolidato la sua crescita economica a tutta velocità, una serie di acquisizioni dirette e di ingressi nei quotidiani di Hong Kong di persone maggiormente legate alla Cina continentale hanno contribuito a domare parte della stampa locale. L’attenzione di Pechino verso le informazioni però era già presente sia a livello di una forte presenza di media con funzione politica – per esempio, la sede di Hong Kong dell’Agenzia Xinhua aveva anche funzioni di ambasciata non-ufficiale cinese durante il periodo coloniale – sia tramite due quotidiani, il Wen Wei Pao e il Ta Kung Pao, direttamente controllati da Pechino, ed ora entrambi sotto l’Ufficio Centrale di Collegamento, o Liaison Office, la massima autorità di Pechino a Hong Kong che, fra le altre cose, controlla anche la maggior parte delle librerie e, per l’appunto, i due quotidiani. Anche in questo campo però l’arrivo di Xi Jinping al potere, non a caso accompagnato dalle lunghe proteste e manifestazioni a Hong Kong, ha cambiato le carte in tavola, e messo in gioco quella che sembra essere una quantità inesauribile di fondi per controllare le informazioni che circolano a Hong Kong.
L’unico canale televisivo gratuito è TVB, acquistato dall’ex direttore del Comitato Municipale del Partito comunista di Shanghai, Li Ruigang. Li ha acquisito il controllo pieno di TVB tramite alcune operazioni non interamente regolari quando sono avvenute, nel 2015 (dato che non rispettavano la regola che limitava ai cittadini di Hong Kong l’acquisto di quote di controllo di un canale televisivo) ma che non sono state considerate problematiche dal governo di Hong Kong. Contemporaneamente, con il passaggio della draconiana legge sulla Sicurezza Nazionale, il 30 giugno del 2020, il servizio radiofonico pubblico Radio Television Hong Kong, o RTHK, fondato sulla falsa riga della BBC (ovvero, un servizio pubblico editorialmente indipendente) sta venendo stravolto, con l’ingresso di nuovi direttori editoriali del tutto digiuni di giornalismo ma dalla provata fedeltà politica. Almeno due giornalisti di RTHK sono stati licenziati, altri sono stati detenuti, per aver prodotto documentari di inchiesta sulle possibili collusioni fra la polizia e la criminalità organizzata, o per aver posto domande troppo dirette al Capo dell’Esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, nel 2019, nel corso delle manifestazioni pro-democrazia che scossero Hong Kong.
Il ruolo di Hong Kong di finestra del mondo sulla Cina è quasi interamente smantellato: la difficoltà a ottenere visti per i giornalisti internazionali – introdotta dopo le manifestazioni del 2014 – fa sì che le sedi asiatiche di quotidiani importanti come il New York Times abbiano deciso di spostarsi a Seul, mentre corrispondenti che continuano a coprire la Cina si ritrovano oggi a farlo da Taiwan. Ora, stiamo assistendo all’attacco finale nei confronti di Apple Daily: Jimmy Lai è attualmente in carcere, per aver preso parte a manifestazioni non autorizzate, e in attesa di altri nove processi, tutti legati alle sue attività politiche considerate ora illegali stando ai termini della nuova legge sulla sicurezza nazionale. Nel frattempo, attacchi sempre più violenti al quotidiano da parte dei giornali portavoce del Governo di Pechino, Wen Wei Bao e Ta Kung Pao, fanno temere che le autorità siano prossime a ordinare la chiusura del gruppo Next Media.
Proprio il 19 aprile il cerchio, in un certo senso, si è chiuso: l’ex Primo Ministro cinese, Wen Jiabao, aveva pubblicato un articolo in commemorazione di sua madre, pochi giorni dopo il suo decesso ma le parole dell’ex premier – fra cui che la Cina dovrebbe essere un Paese giusto – sono state censurate il giorno dopo. Nel caso in cui qualcuno, in qualche parte del mondo, avesse voluto leggere quel dovrebbe come una critica a Xi Jinping.
Se ti interessa l’argomento, scopri il nostro Workshop di Geopolitica sulla Cina.
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La Cambogia ha importato la censura cinese di Internet
VERO
Il Primo Ministro cambogiano, Hun Sen, ha introdotto nel Paese un “national internet gateway” – ovvero, un unico portale, il National Internet Gateway, come unico punto di routing del mondo online. La tecnologia utilizzata dalla Cambogia viene dalla Cina, che da dieci anni almeno cerca di promuovere nel mondo la sua idea di “sovranità su internet”, secondo la quale la sovranità nazionale deve estendersi anche al ciberspazio, e che un governo ha dunque il diritto di controllare le informazioni che entrano ed escono dal Paese. Phnom Penh e Pechino sono alleati storici, e il leader cambogiano Hun Sen, al potere dal 1985, per quanto stia cercando di rafforzare anche altre alleanze, è fra i più fedeli appoggi del governo di Pechino.
I cinesi non si interessano di politica
FALSO
Uno fra i luoghi comuni più insistenti del post-Tiananmen vuole che la popolazione cinese si disinteressi di politica, e che se lo fa sia soddisfatta del governo. È un’impressione generata dalla soffocante censura online, che fa circolare solo le voci che sostengono il Partito comunista cinese. Agli inizi di febbraio, però, prima che la censura si abbattesse anche sulla app stile radio libera Clubhouse, si erano formate innumerevoli room in mandarino che discutevano con interesse e rispetto tutti i temi più scottanti di questi tempi, dalle tensioni a Hong Kong alle accuse di genocidio in Xinjiang, al ricordo di Tiananmen. Il mondo ha potuto ascoltare conversazioni cinesi libere – poi la censura ha chiuso l’accesso a Clubhouse all’interno della Cina, e gli unici che possono accedervi sono fuori dal Paese.
I media di Hong Kong stanno perdendo la loro indipendenza
VERO
I media di Hong Kong continuano a essere sotto osservazione, dopo che Pechino ha deciso che i disordini che si sono avuti nella ex colonia britannica nel 2019 sono parzialmente dovuti all’atteggiamento disinvolto della stampa locale. A farne le spese è stata la radiotelevisione pubblica, RTHK, o Radio Television Hong Kong, creata nel 1928 sul modello della BBC come stazione pubblica ma indipendente, ma che non potrà più ritrasmettere la BBC. Il direttore di RTHK ha dato le dimissioni sei mesi prima dello scadere del suo mandato, e al suo posto è stato messo Robin Li, un burocrate senza esperienza nei media.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Cosa succede in: Laos, Ladakh, Giappone, India
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Le tensioni al confine tra Cina e India
Dopo un inverno ad alta tensione, torna la pace sull’Himalaya – almeno per il momento. Pechino ha ammesso di aver subito delle perdite, con la morte di quattro soldati cinesi, dando dunque per la prima volta dettagli su quanto è successo alla frontiera contestata fra l’India e la Cina, quando le tensioni sono sfociate in un combattimento dall’inaspettata ferocia. Secondo l’India, quanto avvenuto mostra che le tattiche che Pechino utilizza nel Mar Cinese meridionale per mantenere il controllo di acque ed isole contestate non può funzionare sull’Himalaya, dato che Delhi non è disposta a tirarsi indietro e pretende che la frontiera rimanga dove era in precedenza. Pechino mantiene che la colpa degli scontri è dell’India, che non avrebbe rispettato il confine precedente – una versione che non ha convinto tutti. Ma almeno sei persone sono state arrestate in Cina per non essere state sufficientemente ossequiose nei confronti dei “martiri ed eroi” periti negli scontri, pubblicando online dei commenti che “desacralizzano gli eroi”, secondo quanto annunciato dalle autorità cinesi. Gli arresti sono stati portati avanti nel rispetto di una legge del 2018 che rende illegale non onorare “martiri ed eroi” della nazione cinese.
Giappone: le donne giapponesi non vogliono più tacere
La presidenza di Sinzo Abe, che aveva prodotto campagne promozionali per quello che era stato soprannominato womenomics – neologismo sulla scia dell’Abenomics – si è conclusa con tante campagne e poco di fatto. Oggi, dopo lo scandalo legato a Yoshiro Mori, l’ex Presidente di Tokyo 2020 (e Primo Ministro giapponese dal 2000 al 2001), che ha dovuto dare le dimissioni dopo dei commenti misogini, il tema della discriminazione di genere in Giappone è al centro dell’attenzione. Al posto di Mori è stata nominata Seiko Hashimoto, un’atleta, ma la strada da fare è ancora decisamente lunga. Dopo le dimissioni di Mori, infatti, il segretario generale del Partito liberale democratico, Toshihiro Nikai, ha voluto mostrarsi al passo coi tempi, dichiarando che bisogna lasciare più spazio alle donne nel partito. E lasciare che le cinque donne che fanno parte del comitato direttivo del Partito siano presenti alle riunioni di consiglio – fino ad oggi aperte solo agli uomini. A patto, però, ha detto Nikai, che queste non parlino. Potranno però presentare commenti e suggerimenti per scritto, dopo che le riunioni sono state sciolte, e, ha promesso Nikai, le loro osservazioni saranno lette. Il Giappone è il Paese economicamente sviluppato che è rimasto più indietro in questo importantissimo campo: è infatti al 121esimo posto su 153 nella lista compilata dal World Economic Forum nel 2020 sulle differenze di genere. E se la media mondiale della rappresentazione parlamentare femminile è del 25%, in Giappone si tratta appena del 10%, ovvero, 46 donne su una Camera di 465 deputati. Parte del nuovo clima è stato instaurato grazie ai social, e alla campagna #dontbesilent lanciata da una donna di 22 anni, Momoko Nojo, al quarto anno di Economia, che non poteva più sopportare il sessismo di Mori, che continuava a ripetere che le donne parlano troppo, e non possono dunque essere presenti alle riunioni. La campagna invece sembra aver fatto da catalizzatore a un cambiamento finalmente in atto nell’opinione pubblica.
Laos: la ferrovia c’è, ora si dovrà pagare
Alla fine dell’anno il Laos ha finalmente una ferrovia moderna – uno dei progetti di maggior prestigio portati a termine fino ad oggi dalla Belt and Road Initiative cinese. La ferrovia porta dalla capitale del Laos, Vientiane, a Boten, una città al confine con la Cina, e copre una distanza di 442 chilometri. È il maggior progetto pubblico mai portato avanti in Laos, ed anche il più costoso, dal momento che l’interezza della ferrovia ha richiesto un investimento di 5.9 miliardi di dollari Usa – circa un terzo del Pil nazionale. La ferrovia servirà sia per il trasporto di persone che di merci, ed è concepita per treni che possono viaggiare fino ai 160 chilometri all’ora. La ferrovia potrebbe modificare in modo perenne l’aspetto e l’economia del Laos, ma ci sono ancora diversi interrogativi: il più scottante riguarda quello del debito accumulato, e l’incertezza legata alla capacità del Laos di ripagarlo, dato che questo è solo il più prestigioso dei progetti di infrastrutture finanziati dalla Cina. C’è chi teme dunque una “trappola del debito” per questo piccolo Paese del Sud-est asiatico. Stando alle informazioni disponibili, infatti, il Laos ha debiti esteri per 12.5 miliardi di dollari Usa – 6 miliardi dei quali sono da restituire alla Cina.
Cina: la sicurezza alimentare è la nuova priorità nazionale
Gli sconvolgimenti portati dalla pandemia, le incertezze climatiche, insieme al perdurare delle tensioni internazionali, e in particolare fra la Cina e gli Stati Uniti, hanno portato la dirigenza cinese a rivedere le priorità nazionali, mettendo al primo posto la sicurezza alimentare. Come nutrire una popolazione di 1.4 miliardi di abitanti continua a presentare significative incognite anche per un’economia delle dimensioni di quella cinese. Pechino ha dunque deciso di creare un nuovo ufficio governativo centrale per il rinnovamento delle aree agricole nazionali, e per lo sviluppo di nuove tecnologie agrarie che possano migliorare i raccolti. Inaugurando il 14esimo Piano quinquennale (che durerà fino al 2025), Pechino ha stabilito che non potranno essere diminuite le terre utilizzate per la coltivazione di oli commestibili e cereali. Quello che spicca nel Documento n.1 del Piano è anche l’enfasi su un’autosufficienza alimentare maggiore, per contrastare il timore di ritrovarsi ostaggio del deteriorarsi delle relazioni internazionali.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Cina-Hong Kong-Corea del Nord: VERO/FALSO
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L’ideologo più in voga in Cina è Carl Schmitt, teorico del partito
VERO
Mentre la Cina continua a imporsi come seconda superpotenza dopo gli Stati Uniti, uno degli aspetti che restano meno chiari è quale sia esattamente l’ideologia con cui vuole proporsi al mondo. Uno dei teorici più studiati nel Paese al momento, entrato in voga già da diversi anni, è il giurista tedesco Carl Schmitt, associato al Partito nazista, che teorizzava una sovranità assoluta, sempre più cara anche al Partito Comunista Cinese e ai suoi consiglieri. Inoltre, Schmitt è considerato il profeta dell’illiberalismo, ovvero di una dottrina in cui la forza dello Stato deve servire a garantire l’unità dello Stato stesso.
Nessuno può influenzare la Corea del Nord
FALSO
Dopo un periodo di raffreddamento, negli ultimi 18 mesi, le relazioni fra la Corea del Nord e la Cina si sono di nuovo intensificate, portando Pechino e Pyongyang a essere due fra le capitali più vicine. L’assistenza cinese nei confronti della Corea del Nord consente dunque a quello che viene definito “il Paese eremita” sia di gestire la crisi data dalla pandemia o da altri fattori, sia di poter contare sulla sua alleanza tanto nei confronti di altri poteri regionali, come il Giappone o la Corea del Sud, che nelle eternamente difficili relazioni con gli Usa. A riprova di questo, Xi Jinping e Kim Jong-un si sono incontrati almeno cinque volte negli ultimi due anni – più di qualunque altro capo di Stato.
I nuovi appartamenti a Hong Kong sono di 26 mq
VERO
Hong Kong, con quasi 8 milioni di abitanti e limitate terre costruibili, e uno stretto controllo governativo sull’immobiliare, ha lanciato tre anni fa i “nano-appartamenti”, case di appena 26 metri quadrati. Negli ultimi due anni, più del 13% dei nuovi appartamenti lanciati sul mercato appartenevano a questa micro-categoria, ma i sociologi del territorio stanno ora lanciando l’allarme, dal momento che spazi abitativi di dimensioni così ridotte hanno un impatto negativo sulla salute mentale della popolazione. In particolare in tempi di pandemia, quando si passa così tanto tempo in casa.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
Cosa succede in Cina
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Cina: il primo Codice civile
Dal 1° gennaio di quest’anno è entrato in vigore in Cina il primo codice civile. Così, per la prima volta nella storia della Cina comunista tutte le leggi che riguardano la protezione della proprietà privata, o i matrimoni, la famiglia, l’eredità, i diritti della persona, ma anche i diritti di proprietà intellettuale sono compresi in un unico codice legislativo, forte di 1260 articoli. Il codice servirà in particolare ai giudici per poter basare le loro sentenze su un unico testo unificato. Si tratta di un passo molto importante per la Cina, che rafforza il sistema legislativo nazionale – in particolare in aree di diritto civile che dovrebbero così essere più protette da interferenze politiche. Vengono stipulate leggi precise per le conseguenze di oggetti lasciati cadere dai piani alti degli edifici, a pene per chi rifiuta di sedersi nei posti assegnati nei trasporti pubblici, a una legge che protegge i “buoni Samaritani” da possibili ricatti da parte delle persone che hanno soccorso. Un articolo in particolare però ha interessato i cinesi: quello che riguarda il divorzio. Il nuovo Codice Civile infatti prevede che se entrambi i coniugi fanno richiesta di divorzio, questo sia concesso solo dopo un’attesa di 30 giorni. Troppi, dicono i cinesi, abituati da 70 anni a divorzi immediati, e timorosi che questo sia un primo passo da parte del governo per interferire ancora una volta con la vita privata dei cittadini. In particolare, ora che la stampa di Stato dedica spazio al numero di divorzi considerato troppo alto, e al calo della natalità, ora che le conseguenze di decadi di Politica del Figlio Unico si sono fatte sentire più del previsto. Per il Congresso Nazionale del Popolo, che ha approvato il Codice Civile lo scorso maggio, invece, devono cessare i divorzi impulsivi, di cui poi i coniugi si pentono.
Voto: 6 alle autorità cinesi, per aver varato il primo Codice Civile della loro storia… meglio tardi che mai…
Cina: basta insegnamento in lingua in Mongolia
Continua il programma del Governo cinese di assimilare le minoranze etniche nazionali, intensificatosi sotto al Presidente cinese Xi Jinping. Ora a farne le spese è la minoranza etnica mongola, che vive nella regione autonoma della Mongolia interna, ai confini con la Repubblica di Mongolia, dove, dall’inizio dell’anno, sarà eliminato l’insegnamento scolastico in lingua mongola. La decisione di procedere a un’assimilazione linguistica procede malgrado le proteste che hanno scosso la regione nei mesi scorsi, che hanno portato a circa 10.000 arresti. Così come accaduto a uiguri e tibetani, i quali hanno visto diminuire sempre più gli spazi per l’insegnamento in lingua e per un’autonomia che non sia solo solo sulla carta, ora le scuole etniche avranno presidi appartenenti alla maggioranza cinese Han, e, fuori dalla scuola, saranno diminuite le trasmissioni televisive e radiofoniche in lingua mongola.
Voto: 4 a Pechino, che non rispetta culture locali, con il minimo grado di autonomia.
Taiwan: il luogo più protetto dalla pandemia
Taiwan, con 24 milioni di abitanti, ha registrato 7 morti per Covid-19 e 812 casi dall’inizio della pandemia, riportando dunque uno fra i migliori risultati per la prevenzione e il controllo del virus che ha portato a così profondi sconvolgimenti nel mondo intero. Se questo è stato possibile anche con una quasi-chiusura delle frontiere per tutto il 2020 (e che sta perdurando nel primo quarto del 2021), Taiwan ha anche potuto contare su una popolazione non refrattaria all’indossare mascherine e a seguire regole di distanziamento sociale. Ma fra gli eroi del contenimento pandemico a Taiwan vi è Audrey Tang, di 39 anni, Ministro digitale, il primo Ministro transgender dell’isola – per quanto sia un “ministero orizzontale”, ovvero, che esiste per collaborare con altri ministeri su progetti ad hoc. Nel caso della pandemia, è stata Tang, con un passato di hacker, a creare una rete di coordinamento per individuare, per esempio, dove si potevano trovare mascherine o disinfettanti, e a distribuirli alla popolazione. Tang è anche dietro le start-up di fact-checking create per impedire alle false notizie di circolare, e per diffondere i comportamenti da tenere per limitare i contagi. Sempre un’idea di Tang è stata quella di offrire una scelta a chi entrava nel Paese: o 14 giorni di quarantena, o una “barriera digitale” per tracciare i movimenti. Nessun metodo repressivo, dunque. Ora, Taiwan si considera già “post-pandemica”, e la sua capacità di gestire la pandemia anche con innovazioni tecnologiche ha innalzato il profilo internazionale di Taipei.
Voto: 8 a Taiwan, anche se l’isolamento politico dell’isola ha certamente facilitato il contenimento del contagio.
Cina: aumentano i sostituti della carne
Fra le conseguenze della pandemia, un maggior numero di cinesi si mostra interessato a una dieta vegetariana, in particolare dopo che molti epidemiologi sono del parere che il virus Covid-19 possa provenire da una specie animale – forse pipistrelli. Il mercato per proteine sostitutive della carne a base di piante è in piena espansione: oltre alla coreana OmniPork, e all’americana BeyondMeat (che vende nei supermercati Alibaba) ora anche Nestlé entra nel mercato con Harvest Gourmet – che era finora solo disponibile in Australia – e che propone sia salsicce ed hamburger vegetariani che piatti più cinesi come polpette stufate e altro. Diverse aziende cinesi si sono lanciate nel mercato con prodotti che imitano la carne ma che sono a base di piante, e che hanno un aspetto ancora più “carnoso” dei prodotti a base di soia associati ai ristoranti buddhisti. E le previsioni per questo settore di mercato sono estremamente allettanti, valutate a circa 12 miliardi di dollari Usa di qui al 2023.
Voto: 6 alla diversificazione alimentare. Ma non criminalizziamo la proteina animale, che ha secoli di storia alle spalle.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
Cina e India verso la fine delle tensioni?
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Anche in Asia si beve tè con il latte
VERO
Fra attivisti in Thailandia, a Taiwan e a Hong Kong è nata una fratellanza ideologica, detta “l’alleanza del tè col latte”. L’abitudine di aggiungere latte all’infuso è comune nei tre luoghi scossi da proteste pro-democrazia, o che (Taiwan) difendono la democrazia dalle minacce di Pechino di “riunificazione anche con la forza”. Già gli imperatori dell’ultima dinastia cinese, dei Qing (1636-1912), aggiungevano latte al tè, e gli spostamenti imperiali avevano al seguito una mandria di mucche per assicurare che fosse fresco. La versione pro-democrazia del tè al latte è invenzione odierna.
Risolti gli scontri tra India e Cina
FALSO
Dopo le forti tensioni che si sono viste quest’estate alla frontiera fra Cina e India, che hanno portato a un inasprirsi delle relazioni fra i due giganti asiatici, l’India ha perso più di 300 chilometri quadrati di territorio in quella che era stata a lungo la zona-tampone fra i due Paesi, attualmente pattugliata da “migliaia di soldati cinesi”, secondo quanto riportato da fonti indiane, e non smentito da fonti cinesi. In giugno, soldati cinesi avevano ucciso almeno 20 soldati indiani proprio lungo la frontiera, nella parte di territorio indiano dove si trova lo Stato del Ladakh.
L’economia cinese beneficia dello “shopping per vendetta”
VERO
L’economia cinese per il momento risulta fra le più solide davanti ai disastri portati dalla pandemia di Covid-19, malgrado i severissimi lockdown che colpiscono le città nelle quali si rilevano casi di contagio. Finora però, non appena le porte dei negozi si riaprono, i cinesi abbienti si sono riversati nei negozi e nei ristoranti di lusso per consumare “per vendetta” contro l’epidemia. L’economia è dunque cresciuta del 3.3%, in parte proprio a causa dello shopping forsennato di chi si deve “vendicare” della pandemia – e può permetterselo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
In Corea del Sud i fattorini muoiono per sfinimento
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Cina: qualche novità dal Plenum del Pcc
Si è tenuto a Pechino il Plenum del Partito comunista, l’appuntamento della durata di quattro giorni nel corso del quale il Comitato Centrale del Partito, e il suo Segretario Generale, Xi Jinping, si incontrano per determinare la direzione da dare alla politica del Paese. È anche l’occasione per cercare il più possibile di scrutare all’interno di un sistema decisionale opaco e capire quale vento tiri nelle alte sfere pechinesi. Spicca che non sia ancora assurto a stato di “pensiero” quanto detto finora da Xi Jinping, il che fa pensare che questa consacrazione estrema del capo di Stato avverrà forse il prossimo anno – ma il Presidente cinese è incontestato ed esce incolume da dieci mesi di pandemia. Il Plenum ha molto insistito sull’“indipendenza tecnologica e autosufficienza per lo sviluppo nazionale” – probabilmente un segnale di quanto la Cina si aspetti che le tensioni con gli Stati Uniti non tramonteranno dopo le elezioni Usa. Xi ha ribadito l’intenzione di rafforzare l’Esercito Popolare di Liberazione di qui al 2027 – centenario dell’esercito, il che sembra dunque confermare che Xi resterà al potere per almeno un mandato supplementare. Dal punto di vista economico, la Cina vuole continuare a crescere, e per farlo si affiderà maggiormente a quella che ha chiamato la “circolazione interna” – ovvero, la domanda interna, ma il documento uscito dal plenum menziona anche una crescita green e a basso consumo di carbone. Se non serve dunque aspettarsi nulla di maggiormente specifico, il plenum consente però di fissare alcuni punti a cui prestare attenzione: quello potenzialmente più inquietante è l’aver fissato come nuova scadenza strategica per lo sviluppo economico il 2035: che Xi voglia restare al potere altri 15 anni? Nel ‘35, il Presidente cinese avrebbe 82 anni.
Voto: 5 alle ambizioni eterne di Xi, 7 alle programmazioni di green economy, che aiuteranno a salvare il pianeta
Shenzhen città pilota contro la plastica
A Shenzhen, a partire dallo scorso 15 settembre, le catene di fast-food e i ristoranti da asporto hanno smesso di fornire ai clienti forchette, bicchieri e piatti di plastica o bastoncini di legno monouso. Lo scopo è quello di persuadere i clienti a portarsi da casa suppellettili riutilizzabili, disincentivando l’utilizzo di quelle gettabili facendole pagare direttamente ai consumatori: l’esperimento ha avuto qualche intoppo iniziale, quando i consumatori si lamentavano di non essersi preparati all’evenienza e di non voler pagare per quello che era distribuito gratuitamente fino al giorno prima. Ma dopo le prime settimane gli avventori sembrano essersi abituati controvoglia al nuovo regime. La Cina produce il 29% della plastica del mondo (statistiche del 2018) ed è uno fra i principali consumatori, con circa due terzi della plastica utilizzata in Cina che non viene riciclata, ma gettata nelle discariche del Paese.
Voto: 8 al dietrofront sulla plastica
Aumentano le incursioni cinesi in cielo taiwanese
Le relazioni fra Pechino e Taipei hanno continuato a essere caratterizzate dalla costante ostilità cinese nei confronti dell’isola auto-governata e in uno stato di indipendenza di fatto, per quanto non riconosciuta dalla maggior parte delle nazioni (pena la furia cinese). Ma mentre la popolarità di Taiwan comincia a essere in visibile rialzo, sia per l’insofferenza internazionale verso una Cina maggiormente bellicosa, sia per l’abilità con cui Taiwan ha saputo affrontare la pandemia, la Cina ha deciso di mostrare i muscoli, aumentando il numero di incursioni aeree in cielo taiwanese. Finora, entrambi i lati avevano rispettato una linea mediana immaginaria fra le due sponde, ma dall’inizio dell’estate, secondo quanto detto dal Ministro degli affari esteri taiwanese Joseph Wu, ci sono state decine di incursioni nello spazio aereo dal lato taiwanese della linea mediana. Le prime incursioni, dopo diversi anni tranquilli, si sono avute l’anno scorso, ma queste sono aumentate in modo esponenziale negli ultimi mesi. La volontà cinese di provocare tensioni è stata confermata da un portavoce del Ministero degli Affari esteri cinesi che ha negato l’esistenza della linea mediana stessa, ricordando che “Taiwan è parte della Cina, e non ci sono dunque incursioni possibili”. Tsai Ing-wen, Presidente taiwanese al secondo mandato, ha ringraziato i soldati di Taiwan per aver intercettato le incursioni cinesi, e sta procedendo all’acquisto di 62 miliardi di dollari Usa di jet da combattimento F-16.
Voto: 3 all’imperialismo cinese. Una vera è propria ossessione quella di Pechino verso l’isola
In Corea del Sud i corrieri muoiono per sfinimento
Da quando è iniziata la pandemia, il mondo intero ha fatto uso delle consegne a domicilio per ovviare all’impossibilità di fare acquisti diretti. In Corea del Sud, dove la gestione dell’epidemia è stata esemplare, con un numero contenuto di casi e di decessi (26,807 casi totali al 3 novembre, e 472 decessi) il lavoro dei fattorini è aumentato al punto tale che almeno 14 di loro sono morti per sfinimento. Il termine coreano è kwarosa, e significa appunto morte per eccesso di fatica. Il Ministero della Salute è intervenuto alla fine di ottobre, dopo uno sciopero dei fattorini alla Lotte Logistics, per chiedere alle principali aziende che gestiscono i corrieri e le consegne a domicilio di sottoporre i loro impiegati a meno ore di straordinario. I direttori della CJ Logistics, la Coupang e la Hanjin Transportation hanno fatto scuse pubbliche per i casi di morte da kwarosa, ma l’intensificarsi delle richieste per consegne a domicilio con l’inasprirsi dell’inverno e con nuove impennate di contagi stringono i tempi per ammorbidire pratiche di lavoro insostenibili.
Voto: 8 alla Corea per la digestione della pandemia ma 4 alle società di consegna a domicilio. Un altro effetto letale indiretto del virus
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.